Minibond, uno strumento che stenta a decollare

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Nel novembre del 2012, all’inizio della febbre dell’oro italiana sui minibond, si parlava di un potenziale di emissioni di 12 miliardi di euro e il Ministero dello Sviluppo Economico stimava un bacino di oltre 600 aziende che avrebbero potuto beneficiarsi della nuova normativa. Cerved Group parlava di 18.000 società in grado di accedere all’emissione di minibond, ovvero quelle con un fatturato compreso tra i 10 e i 250 milioni di euro ritenute in un’area di sicurezza e di solvibilità dal punto di vista finanziario mentre lo studio condotto dalla SDA Bocconi individuava in 37.500 aziende (ci cui 18.000 quelle manifatturiere e 17.500 quelle di servizi) il mercato potenziale di riferimento delle società emittenti i mini bond.

Di fatto, a distanza di oltre un anno e mezzo dall’entrata in vigore del Decreto-legge n. 83/2012 che le agevola fiscalmente, il numero di piccole e medie imprese che hanno emesso minibond è molto basso, si parla di poco più di una trentina. Per il momento sembra quindi che questo strumento non stia riscuotendo il successo che si sperava.

"Trattandosi di uno strumento pensato per le PMI che per anni hanno avuto come unico canale di finanziamento le banche del proprio territorio, era piuttosto prevedibile una certa diffidenza iniziale da parte degli imprenditori a cambiare radicalmente le proprie modalità di funding a medio termine", spiega Alessandro Piacentini, analista del team Progetto Minibond Italia di Zenit SGR.

Lo studio, sponsorizzato da Zenit SGR e svolto in partnership con la SDA Bocconi evidenzia un profilo rischio/rendimento superiore rispetto al mercato corporate, evidenziando però, come sia necessario fornire agli investitori un ulteriore premio per il rischio di illiquidità caratteristico di un segmento ancora nuovo e poco sviluppato, che impone di sostenere un prolungato rischio di investimento sino alla progressiva scadenza dei titoli in portafoglio.

Alla base del mancato decollo dei minibond ci sono dunque diversi fattori tra cui una scarsa cultura finanziaria e il ruolo dei grandi gruppi bancari che spesso non contribuiscono alla diffusione di questi prodotti. Inoltre bisogna sottolineare che, anche se alleggeriti, gli adempimenti richiesti (l’assistenza di uno sponsor che assista gli emittenti e funga da market maker, garantendo la liquidità dei titoli, poi la certificazione dell’ultimo bilancio e infine la circolazione dei titoli tra investitori qualificati) per emettere e rendere negoziabile un corporate bond su un mercato nazionale o internazionale sono complessi e generano spese fisse che pesano troppo su emissioni piccole.

Ma, continua Piacentini, "se consideriamo come la stragrande maggioranza delle PMI non sia abituata a fornire informazioni ad operatori esterni, non abbia mai approcciato lo strumento del rating per comunicare all'esterno un dato di sintesi sulla propria affidabilità creditizia nè abbia mai richiesto una certificazione di bilancio, pagare una cedola del 6-7% per un finanziamento a 4-5 anni privo di garanzie è un costo adeguato a remunerare il rischio sostenuto dagli investitori. Alla cedola si aggiungono i costi fissi per le suddette certificazioni che si dovrebbero aggirare intorno ai 150 bps, prendendo ad esempio un scenario in cui l'azienda non dispone di nulla (no rating, no certificazioni di bilancio, etc.)".

Pertanto, la conclusione dello studio della SDA Bocconi è che vi possa essere un elevato interesse per i minibond anche in presenza di un costo leggermente superiore da sostenere per finanziarsi direttamente sul mercato. Confrontando, inoltre, le diverse aspettative di rendimento degli operatori del mercato con l’output del modello di pricing presentato, si nota che esiste uno spazio per i minibond all’interno del mercato del credito che, da un lato, forniscono un nuovo e diverso mezzo di finanziamento per le piccole e medie imprese italiane e, dall’altro, offrono agli investitori rendimenti più interessanti di quelli ottenuti dal tradizionale mercato obbligazionario corporate, pur lasciando agli intermediari un margine sufficiente per remunerare la loro attività.

"Va comunque tenuto a mente come tutto questo processo sia finalizzato ad un complessivo avvicinamento dell'azienda ai mercati dei capitali ed allo stesso tempo, come rating e certificazioni di bilancio siano ormai degli strumenti apprezzati e riconosciuti dal settore finanziario, indipendentemente dal fine di emissione del bond; l'azienda quindi a fronte di un costo fisso iniziale può trarre benefici prolungati nel tempo", conclude l'esperto.