Secondo un’indagine della società di consulenza indipendente, negli ultimi quattro anni il 52% degli italiani bancarizzati non ha effettuato alcun investimento. E soltanto il 23% degli intervistati conosce le basi del funzionamento di un’obbligazione
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La scarsa propensione degli italiani all’investimento si conferma ancora una volta tra le cause principali della “erosione” dei risparmi detenuti (per una parallela scarsa propensione al rischio) nei conti correnti. Secondo una recente indagine di Moneyfarm (condotta in collaborazione con Smileconomy e Research Dogma tra il 20 e il 24 maggio 2024 su un campione nazionale di 600 soggetti “bancarizzati” di età compresa tra 25 e 65 anni) oltre la metà (il 52%) degli italiani “bancarizzati” non ha effettuato alcun investimento negli ultimi quattro anni. Non solo: gli appartenenti al 48% di “investitori” hanno rivolto la propria attenzione all’investimento obbligazionario, diretto o indiretto. La società di consulenza finanziaria indipendente con approccio digitale sottolinea, tuttavia, come tra quanti posseggono più di 50 mila euro sul conto, la quota degli investitori lieviti all’80 per cento. Andrea Rocchetti, global head of investment advisory della società, nel ricordare come il nostro resti ancora agli ultimi posti tra i Paesi OCSE per alfabetizzazione finanziaria, sottolinea come “buona parte dell'ingente liquidità parcheggiata sui conti correnti delle famiglie italiane è stata spostata verso conti deposito e obbligazioni, soprattutto governative, strumenti che di per sé presentano caratteristiche molto interessanti, ma che devono essere inseriti nel contesto di una strategia di investimento diversificata e adeguata al profilo di rischio e alle esigenze di ciascuno”.
Obbligazioni, più sicure?
In tutti i casi, il 51% del campione percepisce l’investimento in titoli di Stato o in obbligazioni emesse dalle grandi aziende come più sicuro rispetto all’investimento azionario. Tra le “preoccupazioni” legate all’investimento obbligazionario spicca (per il 55% dei rispondenti) la possibilità di dover vendere il titolo prima della scadenza a un prezzo inferiore rispetto a quello di acquisto (rischio di mercato). Soltanto una minoranza del campione di investitori teme il rischio di insolvenza dell’emittente (26%) o la riduzione della competitività della cedola a causa dell’aumento dei tassi (23%). Tuttavia, un dettaglio importante emerso dal sondaggio è legato al fatto che “la stragrande maggioranza dei rispondenti (77%) ignora il meccanismo alla base dell’investimento obbligazionario”, scrivono gli analisti sottolineando come quattro investitori su cinque non siano in grado di indicare la risposta corretta alla domanda “Cosa accade al valore di un’obbligazione quando il tasso di interesse fissato dalla BCE scende?”. Nello specifico, a ignorare completamente i rapporti di variazione prezzo-rendimento in relazione alla variazione ufficiale dei tassi è il 31% del campione e a rispondere in modo errato (“Il valore dell’obbligazione resta invariato” o “Il valore dell’obbligazione scende”) il 46 per cento.
L’appeal della garanzia statale
Un elemento di forte incentivo per gli investitori in titoli di Stato è legato poi ai seguenti elementi: garanzia dello Stato italiano, cedole periodiche e aliquota fiscale agevolata. Queste spinte, insieme a quella che Moneyfarm definisce “una campagna mediatica pervasiva”, hanno determinato il recente successo del Btp Valore, l’obbligazione del Tesoro rivolta ai risparmiatori retail lanciata a giugno 2023 che in meno di un anno ha raccolto complessivamente 65 miliardi di euro. “Il 31% del campione intervistato da Moneyfarm dichiara di aver sottoscritto BTP Italia o BTP Valore e oltre la metà di questi sottoscrittori dice di essere stata influenzata dalla massiccia campagna di comunicazione che ne ha accompagnato l’emissione, tanto efficace che solo il 15% degli intervistati dichiara di non aver mai sentito parlare di questi strumenti”.
Allarme scarse conoscenze
Altri elementi di riflessione emersi dal sondaggio sono legati alla nebulosità delle conoscenze del campione, anche tra gli investitori. La maggioranza non ha ben chiare le differenze tra titoli di Stato e obbligazioni corporate e ben l’82% di esse crede, erroneamente, che i titoli di Stato siano più facili da vendere delle obbligazioni corporate, il 38% pensa che i titoli di Stato abbiano rendimenti mediamente inferiori alle obbligazioni corporate e il 46% ignora che a queste ultime sia associato un rischio maggiore dei titoli di Stato. Moneyfarm definisce poi “allarmante” che soltanto un terzo del campione (35%) riconosca l’importanza della diversificazione, “molti ritengono che investire in un singolo titolo obbligazionario sia un approccio ugualmente valido (19%) o addirittura migliore (12%) e moltissimi (34%) non hanno un’opinione in merito”. Altro punto debole è legato alla tassazione delle plusvalenze derivanti dai titoli obbligazionari: soltanto il 34% del campione conosce con esattezza l’entità dell’aliquota agevolata (12,5%) applicata al capital gain sui titoli di Stato quali BTP, BOT, CCT e CTZ, e soltanto il 20% è a conoscenza dell’entità dell’aliquota effettiva (26%) applicata alle plusvalenze sulle obbligazioni corporate. La dimestichezza con il regime fiscale riservato alle obbligazioni cresce negli investitori “affluent”: tra chi possiede un patrimonio investibile superiore ai 50 mila euro, infatti, la percentuale di chi conosce con esattezza l’entità delle aliquote applicabili al capital gain su titoli di Stato e obbligazioni corporate è pari, rispettivamente, al 55% e al 42 per cen to.
Infine, se si guarda al recente passato dei mercati finanziari, il 2022 è stato un anno particolarmente negativo per gli investitori che, però, dalla storia possono trarre delle lezioni importanti. Tuttavia, oltre la metà dei rispondenti dichiara di non sapere cosa sia accaduto né sul fronte azionario né su quello obbligazionario. In particolare, il 54% non sa che in quell’anno il valore dei titoli di Stato in portafoglio è sceso mediamente dell’11 per cento. "Purtroppo, come ci ricorda il rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane e come confermato da questa nostra indagine, ad oggi sono ancora in pochi a conoscere le caratteristiche e soprattutto i rischi dell’investimento in obbligazioni”, conclude Rocchetti.