Montalbetti (Consultinvest): “La selezione è un percorso che si sviluppa nel dialogo con i gestori”

Una volta definito il terreno di ricerca, l’analisi quantitativa si articola su tre dimensioni: la prima è legata alla performance aggiustata per il rischio; la seconda dimensione riguarda la consistenza del fondo, “ossia a parità di condizioni preferiamo i fondi che sono stabilmente nel primo quartile rispetto a fondi che si spostano tra i quartili, evidenziando uno style bias oppure scelte sbagliate protratte nel tempo”, specifica Montalbetti. La terza dimensione riguarda la capacità di gestire le fasi di ribasso. Un tema di forte presa, soprattutto in anni recenti, per cui “a parità di condizioni preferiamo i fondi che, quando i mercati vanno male, riescono a contenere le perdite meglio degli altri”. Il tutto, ovviamente, sempre basato sulla possibilità di confrontare fondi il più possibile tra loro omogenei. “Le categorie di Morningstar sono piuttosto precise, ma nei casi in cui il campione sia troppo ampio secondo i nostri parametri, siamo noi stessi a suddividerlo in ulteriori sotto categorie, a loro volta il più possibile omogenee tra di loro”.

L’analisi qualitativa, tuttavia, non procede in maniera “distaccata” rispetto all’analisi quantitativa. Si muove in parallelo articolandosi nel dialogo con le società di gestione, sia in incontri singoli sia all’interno di eventi sul mercato per comprendere, “dal confronto con il gestore, quali sono le caratteristiche peculiari del processo di investimento di ogni fondo”.

Il confronto con il gestore continua a mantenere, nell’ambito della selezione, un peso centrale. L'analisi quantitativa, d’altronde, si configura come “un punto di partenza”. Alla domanda su come definire la parte più squisitamente qualitativa del suo lavoro, Montalbetti la definisce “più un'arte che una scienza”. L’esperto sottolinea l’assenza di “ricette o modelli validi e applicabili di per sé in ogni circostanza”, la sensibilità del selezionatore, in questo caso, va sulla comprensione della “filosofia di investimento del gestore e del tipo di processo che utilizza”.

Qui Montalbetti chiarisce meglio: “Occorre capire in cosa il gestore crede e quali sono i punti di forza della sua strategia, per poi verificare in quali condizioni di mercato tale strategia funziona e in quali no”. Non esiste, purtroppo, la strategia che va bene sempre e comunque, “quindi per un asset allocator che dà in delega a un terzo la gestione di un pezzo del portafoglio, è importante capire come viene gestita questa parte del portafoglio, e sapere quando il team di gestione cui è allocata può performare meglio (o peggio)”.

A corollario di questo ragionamento Montalbetti specifica anche la necessità di capire come è organizzata la società di gestione. “Esistono molti modelli, tutti validi”, afferma, citando ad esempio i casi in cui il team è focalizzato “su uno o due gestori star” o se ha una struttura “più democratica”, anche queste diverse conformazioni delle squadre di gestione sono utili per comprendere, in definitiva, l’andamento di un fondo: “Se un gestore ha un bias sullo stile growth andrà bene in certe condizioni, se invece il mercato corregge o ha un andamento laterale occorrerà rivolgersi a un altro tipo di gestore”, afferma. “L’obiettivo finale di tutto il processo è conoscere i singoli fondi per costruire un portafoglio adeguato alla strategia di gestione che si intende perseguire e alle condizioni attese di mercato, cercando anche una buona diversificazione tra stili di gestione e processi di investimento”.

Da qui la domanda successiva è quasi un dovere: quale gestore per questi tempi incerti? “Come caratteristiche di stile”, afferma l’esperto, “se si parla di azionario globale, categoria presente in misura diversa in tutti i portafogli, cerchiamo di mantenere una strategia ‘su due gambe’: da un lato un’esposizione abbastanza aderente all’indice o prodotti passivi o a basso tracking error, dall’altra invece prodotti abbastanza concentrati, in cui la parte di gestione attiva è più enfatizzata”. Tecnicamente, afferma “ricerchiamo un bilanciamento tra beta e alpha, quest’ultimo tipico dei gestori che fanno dello stock picking il proprio punto di forza”.

Sulla parte obbligazionaria, specialmente quella USA, i mercati sono oggi molto incerti: “Sono passati dal prevedere sei o sette tagli alla fine della scorsa estate, agli attuali uno o due. Viste le numerose incognite, soprattutto in merito alle future scelte della nuova amministrazione USA e alle loro conseguenze, non siamo ancora aggressivi nell’allungare la duration di portafoglio e preferiamo scadenze medio-brevi”, afferma Montalbetti. Gli spread del credito, continua “sono vicini ai minimi e per questo, al momento privilegiamo esposizioni a strategie flessibili al mondo dell’obbligazionario in cui il gestore ha margini di libertà per allocare dinamicamente tra vari segmenti ed emittenti in funzione delle condizioni di mercato”. Fintanto che non ci sarà più chiarezza sulla politica monetaria USA, conclude l’esperto, “meglio privilegiare strategie dinamiche e focalizzate sulla selezione degli emittenti, piuttosto che strategie direzionali che, almeno per qualche mese, porteranno a una volatilità elevata”.