E appunto nel dettaglio della fund selection interviene Coletti, che precisa come in questo processo la base di partenza sia la “definizione di un database per peer group il più possibile omogenei, che accomuni fondi dalle caratteristiche similari. A tal proposito – rimarca – si fa riferimento alla classificazione dei principali provider finanziari (ad esempio Morningstar)”.
Una volta che la commissione investimenti individua la classe di attivi per l’implementazione dell’asset allocation strategica e tattica, il team si concentra sul primo step: l’analisi quantitativa. “In questo caso, prendendo a riferimento con orizzonte a uno, tre e cinque anni i principali parametri finanziari e di rischio e rendimento, e indicatori risk reward (ad esempio Sharpe, Sortino, Informatio Ratio, Calmar Ratio, alfa di Jensen)”. Tale analisi, afferma Coletti, “si conclude con la definizione di uno scoring quantitativo”. L’analisi di tipo qualitativo, invece, “prende a riferimento caratteristiche specifiche del portafoglio e della gestione, come ad esempio la style analysis, il ranking del gestore e del fondo per i principali provider finanziari, la sovraespozione/sottoesposizione settoriale e geografica rispetto al benchmark, lo scoring ESG MSCI, oltre ad altri parametri, cito ad esempio gli aspetti commissionali”. Questo secondo passaggio si conclude con una scoring qualitativo, e soltanto una volta individuati i due punteggi per la scelta finale dei fondi in short list, nella due diligence finale, entra in gioco l’elemento “umano”. “Si prendono in considerazione l’affidabilità e la trasparenza del team di gestione del fondo, la coerenza della strategia nel tempo, e la capacità del gestore di adattarsi alle diverse condizioni di mercato”, spiega il selezionatore.
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