È il greggio non convenzionale ad aver cambiato le regole del gioco. Parola di Leonardo Maugeri, senior fellow a Harvard e presidente del fondo Ironbark di New York. E, quanto a un investimento sui titoli del petrolio, suggerisce di essere attendisti.
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Leonardo Maugeri, incontrato da FundsPeople in occasione della investor conference tenutasi a Milano organizzata da Etf Securities, è senior fellow della John Kennedy School of Government all’Università di Harvard e presidente del fondo d’investimento Ironbark di New York. Maugeri lo scorso anno aveva anticipato la possibilità che il prezzo del petrolio sarebbe potuto scendere sotto i 50 dollari al barile, davanti allo scetticismo dei più, cavalcando la considerazione secondo cui una capacità in eccesso di produzione dell’oil avrebbe comportato la caduta del suo prezzo. È stato uno dei più giovani e apprezzati dirigenti di Eni ed è advisor sul tema dell’energia di hedge fund e governi.
Lei ha anticipato, davanti all’incredulità dei più, il crollo dei prezzi del petrolio a cui stiamo assistendo. Cosa è successo?
La capacità di produzione di petrolio stava crescendo a tassi senza precedenti e questo non poteva che portare a una caduta dei prezzi. Al momento abbiamo una capacità produttiva (e non la produzione) che ammonta a 101 milioni di barili di petrolio al giorno contro un consumo pari a 92 mln. La capacità produttiva non utilizzata siede su ragioni di instabilità politica e di tensioni internazionali (vedi Iran, ndr). Per non parlare del fatto che la previsione di 110 mln di barili nel 2020 è incompatibile con qualsiasi domanda.
L’industria nel frattempo continua a investire...
Sì, si tratta degli investimenti degli anni scorsi upstream nel settore produttivo, avviati per trovare nuovi giacimenti di petrolio e gas. Basti pensare che da meno di 200 miliardi siamo passati a 700 mld negli ultimi cinque anni e questi investimenti colossali devono ancora dare i loro frutti. Nel 2016 arriverà inoltre anche la nuova produzione del Kazakistan.
Politologi ed economisti parlano di un’intesa o alleanza occulta tra Stati Uniti e Arabia Saudita. È così?
Assolutamente falso. Non c’è alcuna alleanza tra i due dato che nella volontà dei sauditi c’è colpire gli USA. I sauditi ritenevano che la produzione Usa sarebbe potuta essere eliminabile dal mercato ma si sbagliavano. Sta di fatto che hanno voltato le spalle all’OPEC; la politica energetica la fanno loro e non l’OPEC. Il loro obiettivo comunque non è la Russia, come molti pensano, ma tagliare la produzione nel mondo. Purtroppo per loro, però, la produzione USA ha continuato a crescere anche mentre il prezzo crollava, anche fino a 50 mln di barili al giorno. Intanto gli Stati Uniti sono in iper attività sullo shale oil che ha dinamiche anomale e diverse da quelle del petrolio. Un altro fattore che complicherà la vita dei sauditi è l’estrema elasticità della produzione di shale oil USA rispetto a quella tradizionale di greggio e gas.
La stessa cosa è accaduta anni fa con lo shale gas in America…
Esatto. Quando, nonostante prezzi in discesa libera, la produzione ha continuato a crescere esponenzialmente.
Quali sono le variabili che contano in questa partita?
Tecnologia e conoscenza hanno avuto un impatto fondamentale sul petrolio e l’avranno anche sullo shale oil. Il costo marginale della produzione USA di quest’ultimo è 85 dollari al barile. Il break even è tra 40 e 42 dollari. Solo un 5% ha un break even superiore.
Quali sono i limiti dell’industria?
Sono stati fatti troppi investimenti a occhi bendati. Questo è stato uno dei problemi principali e sono stati sprecati molti soldi. L’industria nei prossimi anni dovrà per forza tagliare gli investimenti in modo massiccio. Il punto è capire dove andranno a tagliare dato che in genere le prime a saltare sono le risorse umane. Già oggi le major del petrolio stanno diventando major del gas con un problema di reddittività enorme dato che il primo ne produce molta di più del secondo.
Si tornerà a 100 dollari al barile?
La vedo difficile. Era anomalo il prezzo di prima e ora siamo entrati in una zona grigia. A lungo termine, a mio avviso, i prezzi di equilibrio saranno più bassi (max 75-80 $). Sarà comunque difficile tornare sopra ai 65$ in maniera stabile.
Quale sarà l’impatto sulle imprese petrolifere? Vale la pena investire adesso?
Sarà pesante. Hanno sovrainvestito e male e quello che pensano, ovvero di tagliare i costi, è la strategia più sbagliata. Alcune aziende si riprenderanno, molte falliranno. Tra le grandi, alcune sono più difensive e meno preoccupanti ma, man mano che si scende nella scala, il rischio si fa sempre più alto. Molto si capirà nei prossimi sei mesi. Per ora è meglio stare alla finestra e non investire.