Il gestore del DGC QIC GCC Equity Fund illustra i motivi che rendono particolarmente interessante questa regione, tra le poche dei mercati emergenti risparmiata dai venti avversi di inizio anno.
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Inizio d’anno turbolento per i mercati emergenti sotto pressione per l’aumento dei tassi della Fed, la guerra in Ucraina e le difficoltà attraversate dalla Cina nella gestione della variante Omicron. Ma nell’universo variegato dei Paesi emergenti ci sono delle realtà in controtendenza. Tra queste spiccano i Paesi del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita, UAE) che stanno beneficiando di questo mix di fattori avversi agli altri mercati e dell’aumento del costo del petrolio, di cui sono tra i maggiori esportatori al mondo. In quest’area investe il Diversified Growth Company QIC GCC Equity Fund, uno strumento accessibile agli investitori professionali italiani tramite l’offerta di fondi in delega di NS Partners. È gestito da Mark Krombas, professionista di grande esperienza e uno dei pionieri dell’investimento azionario in queste economie. Lavora per la Qatar Insurance Company (QIC), il maggiore gestore degli investimenti del Qatar, con attualmente 7 miliardi di dollari di AUM.
FundsPeople l’ha incontrato a Milano in un momento molto positivo per il suo fondo che si è dimostrato uno dei pochi in guadagno nel difficile inizio di 2022 (+13% nel primo trimestre 2022; +38% nel 2021). “Siamo in presenza di una tempesta perfetta per i Paesi del Golfo. Gli elevati prezzi del petrolio stanno permettendo ai governi di implementare cospicui piani di investimento domestici”, afferma Krombas. “Inoltre, queste economie dispongono di surplus di budget accantonati grazie a delle misure di austerità introdotte durante il COVID, risorse che ora sono pronte a essere re investite”, dice.
Tassi USA e petrolio venti favorevoli
I rialzi dei tassi in USA, storicamente negativi per i mercati emergenti, sono invece favorevoli per i Paesi del Golfo. In particolare per il settore finanziario, che dopo l’oil & gas è quello con il peso economico maggiore. “Le economie dell’area hanno dei tassi di cambio fisso con il dollaro USA e riflettono in modo diretto l'andamento delle politiche monetarie degli Stati Uniti”, illustra il gestore. “Ma i costi di finanziamento per la maggior parte degli istituti di credito della zona è vicino allo zero. Perciò quando i tassi della Fed vengono alzati, aumentano automaticamente i loro margini, con un incremento sostanziale della loro profittabilità”, spiega.
Secondo Krombas ci sono una serie di motivi che rendono elevato il potenziale di questi Paesi al di là del rally del petrolio. Il primo mito da sfatare circa l’andamento dell’azionario locale è una stretta dipendenza dalle fluttuazioni della materia prima: “Sono meno correlati di quanto si sarebbe portati a pensare. Non siamo in presenza di una relazione lineare. Il punto di break even è attorno ai 50 dollari al barile. La correlazione è molto alta quando si è vicini a questa cifra, ma più ci si allontana da questa soglia meno i due mercati sono correlati”, spiega. Le opportunità per il gestore esulano i tradizionali settori dell’energia e della finanza. Le rintraccia nel turismo e nei servizi in Arabia Saudita, Paese che si sta modernizzando e aprendo sempre di più ai flussi internazionali e domestici, in Qatar, che oltre ad apprestarsi a diventare uno dei fornitori di gas e petrolio alternativo alla Russia per i Paesi europei (+30% in 5 anni) beneficerà dell’ospitalità dei Mondiali di Calcio 2022 e a Dubai nei settori avvantaggiati delle riaperture post COVID.
Turismo e servizi in Arabia Saudita
“La metà del nostro indice è composto dall'Arabia Saudita. È il Paese più popoloso della regione con circa 36 milioni di abitanti e gode di un andamento demografico positivo, dato che metà della popolazione ha meno di 24 anni”, sottolinea. “Sotto la guida di Mohammed Bin Salman il Paese è molto cambiato negli ultimi anni dal punto di vista sociale: è stata data la possibilità alle donne di guidare, di frequentare cinema e i ristoranti misti e di partecipare a eventi sportivi”, continua. “Attualmente il contributo del settore del commercio all'ingrosso e al dettaglio, dei ristoranti e degli alberghi al PIL dei Paesi globali ‘maturi’ è in media di circa il 16%, mentre in Arabia Saudita questo tasso di aggira attorno al 9%”, sottolinea. “Si tratta di uno dei dati più bassi al mondo, perché il Paese parte praticamente da zero per le molte restrizioni religiose. Vi è perciò una possibilità di crescita in queste fette dell’economia di circa il 7% nei prossimi anni, con un aumento dell'occupazione che è una delle maggiori sfide della leadership di Mohammed Bin Salman”, dice. E un’altra area di interesse proviene dal turismo religioso verso La Mecca che punta ad accogliere 30 milioni di pellegrini entro il 2030 dagli 8 milioni del 2016.
Processo di investimento
Il fondo si basa uno stock picking frutto di una costante ricerca bottom up per individuare le compagnie vincenti e il giusto momento per inserirle in portafoglio. Elementi indispensabili in questo processo sono la conoscenza diretta e i frequenti incontri dei management delle aziende locali e gli oltre vent’anni di esperienza in questi mercati del team di investimento. “Attualmente il nostro portafoglio ha una concentrazione elevata rispetto alle medie storiche ed è costituito da circa 35 nomi”, spiega il gestore. “In generale proviamo a non avere mai stocks con un peso inferiore al 2% e allo stesso a non detenere molte posizioni sopra il 5%”, afferma. “Recentemente abbiamo aggiunto in portafoglio più titoli degli UAE (con un peso di circa il 25% rispetto al 15% del nostro benchmark) con banche e società di real estate per noi significativamente sotto valutate relativamente al resto della regione e in termini assoluti. Abbiamo aggiunto anche una compagnia aerea del Paese con ottime prospettive di ripresa”, continua. “In Arabia Saudita siamo ancora interessanti nei viaggi e nei recovery stocks del retail, pensiamo che il mercato stia sotto stimando la ripresa nei viaggi e in generale del turismo religioso, che entro il prossimo dovrebbe ritornare al suo pieno potenziale”, avverte. “Infine siamo sottopesati nelle blue chip del Paese dove vediamo poco valore”, conclude.