Nuovo caos in borsa: le perdite non si arrestano

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Artemuestra, Flickr, Creative Commons

Le borse non riescono a frenare l'emorragia. Le perdite registrate giovedì sono state tali e tante in tutti i mercati globali (sono arrivate a perdere il 3%). L'incertezza non arriva solo dalla Cina. Esistono preoccupazioni anche negli Stati Uniti. Le ultime ore della borsa di Wall Street sono state intense. E piene di nervosismo. Lo S&P 500 accumula una perdita annuale superiore al 6%. In Cina, la borsa di Shanghai ha perso il 17% solo in questi primi giorni dell'anno, e dopo il calo del 2,5% di ieri, crolla circa del 43% dai massimi dello scorso giugno. La borsa di Shenzhen invece nell'ultima sessione perde altri 3,5 punti percentuali, e il 22% da inizio anno. Il contagio ai mercati occidentali è un dato di fatto. I principali indici azionari toccano perdite annuali che sfiorano il 7,4% nell'EuroStoxx 50, l'8% nel DAX, l'8% dell'Ibex 35 e il 5% il FTSE MIB. Gli esperti sono convinti che la volatilità continuerà. Tanto che alcune SGR, come Fidelity, hanno elaborato un decalogo di consigli per reggere questo periodo di turbolenze dei mercati. 

"L'inizio del 2016 non è stato buono per l'azionario in generale, e i mercati europei non hanno fatto eccezione. Le preoccupazioni si sono acuite a causa della volatilità nelle borse cinesi, che riflettono la preoccupazione sul ritmo di svalutazione dello yuan e la potenziale accelerazione della deflazione nel resto del mondo. L'aumento dei tassi d'interesse di 25 punti nel mese di dicembre da parte della Fed ha anche aumentato i timori circa l'impatto di un dollaro forte e più elevati costi di finanziamento sui mercati emergenti, che sono già alle prese con livelli di debito elevati. I prezzi delle materie prime sono scesi di nuovo, gravando ancora di più sulla situazione dei Paesi emergenti produttori. Tutto ciò ha favorito un forte movimento di avversione al rischio, innescando un rally dei bond e delle obbligazioni, e un'attrazione generale verso asset percepiti come difensivi", riassume Stephanie Butcher, direttore del team azionario europeo di Invesco.

E il mercato dei bond?

Dall'inizio dell'anno i bund tedeschi e i tresauries statunitensi si collocano, rispettivamente, allo 0.9% e all'1,3%. Anche se nel breve termine la curva dei rendimenti è rimasta abbastanza stabile, nel lungo temrine si è ridotta: di 15 punti nel caso del bund a 10 anni e di 21 punti nel caso dei bond americani a 10 anni dalla fine del 2015. Bisogna dire che i rendimenti reali dei bond a lung termine non sono cambiati, visto che il calo dei tassi d'interesse nominali risponde solo alle aspettative d'inflazione più basse.  

"Il recente calo dei prezzi del petrolio implica che la possibilità che l'inflazione spinga al rialzo i tassi d'interesse core è abbastanza improbabile", dicono da Generali Investments. "Se i prezzi del greggio si mantengo ai livelli odierni, l'inflazione generale calerà nei prossmi mesi sia nell'Eurozona che negli Usa. In base a come cambieranno i prezzi, potremmo tornare a vedee tassi d'inflazione negativi in Europa. Inoltre, se i timori macroeconomici sulla Cina peggiorano e finiscono per contagiare i mercati finanziari occidentali, il recupero economico potrebbe fermarsi" affermano. 

Fattori che tranquillizano i mercati

Peter Hensman, global strategy di Newton (una controllata di BNY Mellon IM), non crede che il quantitative easing (QE) nel breve periodo sia la causa della volatilità. Anzi, al contrario. "Proprio nei momenti successivi alla maggior parte delle nuove misure di QE introdotte, abbiamo visto una volatilità ridotta. Per noi si tratta di un effetto del mercato relativamente a breve termine. Continuiamo a dubitare sul fatto che dare solo più liquidità in generale cambierà davvero le prospettive di crescita. E la sfida per il 2016 si concentrerà più sulla pressione al ribasso che con probabilità vedremo nei benefici. Le aziende sono in lotta per il potere di fissare i prezzi e crediamo che il QE ha contribuito sia ad un aumento della domanda che dell'offerta, per cui probabilmente ha avuto l'effetto opposto a quello previsto dai governi. Questo è uno dei motivi per cui crediamo che avremo più volatilità nel 2016". Il problema, piuttosto, sembra riguardare la Cina e i possibili effetti della svalutazione dello yuan.

Secondo Nicolas Doisy, capo economista e strategist di Amundi, sia interna che esterna. una grande svalutazione dello yuan avrebbe avviato una corsa globale verso l'abisso. "Anche se lo yuan è sopravvalutato del 20% nei confronti del dollaro, una classica svalutazione (esterna) non solo rischierebbe di innescare una guerra valutaria, ma anche ingenti insolvenze dei debiti in dollari da parte delle società cinesi. In primo luogo, s'incrementerebbe il servizio dei debiti denominati in dollari, contratti nel corso degli ultimi dieci anni da settore aziendale con leverage. Significherebbe anche il fallimento degli impegni internazionali della Cina (soprattutto da quando è stato incluso lo yuan nel paniere di valute DSP FMI). Cosa che probabilmente terminerebbe, nel migliore dei casi, in altre svalutazioni (a catena) nei mercati emergenti. Ma anche in rivalse statunitensi ed europee". 

D'altra parte, la possibilità di una svalutazione interna in stile Eurozona determinerebbe una situazione di deflazione in Cina (anche se al rallentatore), che si potrebbe diffondere, a sua volta, in America ed Europa. "In Cina si sono già registrate svalutazioni interne di questo tipo negli ultimi due anni, che hanno provocato il rallentamento economico in corso nel Paese, essendo la causa dell'ultimo svalutazione esterna a sorpresa nel mese di agosto, dopo quella di aprile. A causa delle parità yuan-dollaro, i salari e gli stipendi rimarranno nel migliore dei casi invariati (se non diminuiscono, in termini reali), oscurando così il modello del tasso di cambio yuan-dollaro", spiega Doisy.