Banche centrali, la Grande Bellezza?

Giordano_Lombardo
Immagine concessa

Dallo scorso novembre ad oggi, le misure espansive annunciate o attuate dalle Banche Centrali hanno continuato a guidare i mercati finanziari, e le attività rischiose in particolare, verso nuovi massimi. Da notare che questo è avvenuto in un contesto economico debole, nella maggior parte delle aree, ulteriormente esacerbando la divergenza fra mercati finanziari e fondamentali economici emersa dopo la crisi. I tassi sui titoli di stato dell’Eurozona hanno raggiunto livelli impensabili solo qualche anno fa, e ben il 93% offre rendimenti inferiori al 2%.

Oggi le decisioni d’investimento rimangono limitate da un set ridotto di opportunità, anche considerando diversi scenari. Fra questi, gli investitori dovrebbero valutare se l’economia globale stia lentamente, ma inesorabilmente, scivolando verso una deflazione strutturale oppure sia alle prese con una più benigna bassa inflazione (cd. lowflation). Questa è una delle questioni più rilevanti in termini di implicazioni per gli investimenti. Se credessimo in uno scenario di deflazione strutturale, dovremmo considerare attraenti i tassi di interesse dei titoli governativi sopra riportati e le altre classi di attività in bolla speculativa. Dall’altro lato, in caso di lowflation (che crediamo sia lo scenario più probabile), le valutazioni attuali delle attività rischiose potrebbero essere ancora sostenibili, anche se con una prospettiva di ritorni potenziali molto bassi. La prolungata azione di riduzione del debito, l’invecchiamento della popolazione e l’ampliarsi delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito peseranno sulle aspettative economiche future.

Con le loro politiche espansive le Banche Centrali stanno cercando di “reflazionare” l’economia e creare inflazione. Se avranno successo o meno è ancora da vedere, intanto la cosiddetta repressione finanziaria sta spostando il peso del debito dai debitori (soprattutto nel settore pubblico) ai risparmiatori (famiglie). Le Banche Centrali devono fare i conti oggi con rischi di deflazione in aumento. Con l'unica eccezione, forse, degli Stati Uniti, ogni area geografica i propri sintomi di deflazione. In Europa, la partita si gioca sull'aggiustamento degli squilibri interni, come eredità della crisi (alto tasso di disoccupazione, alti costi del lavoro nei paesi periferici). La Cina (dove la "malattia" è legata alla sovraccapacità produttiva in molti settori) sta esportano deflazione in particolare verso i mercati emergenti, attraverso le materie prime. In Giappone, la guerra contro la deflazione è in corso da due decenni, e anche con il quantitative easing, i risultati non sono particolarmente apprezzabili. Il calo del prezzo del petrolio, conseguenza di squilibri fra domanda e offerta e di fattori geopolitici, è un'ulteriore complicazione a questo scenario.
La conseguenza è che i tassi di interesse rimarranno bassi per molto tempo.

In secondo luogo, lo scenario più probabile è che le Banche Centrali si muoveranno in maniera asincrona , in risposta alle diverse fasi del ciclo economico. Da un lato, la Federal Reserve e la Banca d'Inghilterra saranno probabilmente le prime ad iniziare una lenta normalizzazione, dal momento che le rispettive economie stanno crescendo a tassi sostenuti. Al contrario, la BCE e la BOJ continueranno ad essere accomodanti. Con tassi di interesse prossimi allo zero, i tassi di cambio avranno un ruolo cruciale nella trasmissione all’economia reale delle politiche monetarie non convenzionali. Pertanto, il rischio di una guerra valutaria sta aumentando e, con esso, il rischio di una nuova ondata di volatilità del mercato.

Nel frattempo, un ruolo più attivo da parte dei governi, con riferimento alle riforme, è un'altra variabile da considerare ai fini delle decisioni di investimento. E’ sempre più chiaro come la politica monetaria da sola non sia sufficiente a rilanciare la crescita, soprattutto se il meccanismo di trasmissione della liquidità offerta delle Banche Centrali all'economia reale non funziona correttamente.
Nella ricerca di un sottile equilibrio tra le politiche di crescita (Keynesiane) e le riforme strutturali, sarà fondamentale guardare all’effettiva implementazione delle riforme e alla qualità della leadership politica. Con questa prospettiva, fra i mercati emergenti, l'India, l'Indonesia e la Cina sono paesi meglio posizionati rispetto ad altri (ad esempio Brasile, Russia). Nell’Eurozona, la situazione è più complicata e la transizione verso un modello di crescita più solido è lungi dall'essere completa. Qui non solo manca una visione comune sulle possibili soluzioni, ma non c'è accordo nemmeno sulla natura dei problemi (cioè sulle misure di austerità, come nel caso della Grecia). Fino ad oggi, il progetto politico dell'euro non sembra in discussione (e questo spiega la relativa calma dei mercati finanziari, nonostante la crisi greca). Tuttavia, l’immobilismo dei politici europei rischia di creare un terreno fertile per i partiti anti-euro, aggiungendo un’altra fonte di instabilità nel medio periodo.
Per quanto riguarda le implicazioni di investimento, un mondo sempre più dipendente dalle azioni di politica monetaria e fiscale sarà con ogni probabilità più vulnerabile a errori, e fonte di volatilità per i mercati finanziari.
L'inflazione, la minaccia numero uno per i mercati obbligazionari, non sarà un problema per il prossimo futuro; al contrario, potranno emergere forze deflazionistiche strutturali, se non controbilanciate da un'azione politica più incisiva.
L'eccesso di domanda di obbligazioni (da parte delle Banche Centrali e delle istituzioni, come conseguenza di una regolamentazione più severa) rischia di indebolire ulteriormente la relazione fra rendimenti e fondamentali economici, anche nelle aree a maggior crescita, come gli Stati Uniti. In questo caso i rendimenti rimarranno molto bassi in una sorta di "eutanasia dei redditieri" (cfr. ultimo capitolo della Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta di Keynes), che coinvolge sia gli investitori retail sia gli istituzionali. Questi ultimi dovranno rivedere con ogni probabilità le obbligazioni contratte con gli investitori a tassi più alti degli attuali.
L'unica opzione rimasta agli investitori sembra quindi essere quella di aumentare il rischio scegliendo fra un set di opportunità non particolarmente attraenti, dopo cinque anni di mercato al rialzo, ma in cui sono ancora (modestamente) remunerati per i rischi assunti. La ricerca di rendimento, che ha dominato il mercato negli ultimi cinque anni, è pertanto destinata a continuare coinvolgendo anche il perimetro istituzionale. Per questo motivo, le classi di attività saranno valutate per la loro capacità di generare un “premio per il reddito. Nella prospettiva di generazione di income, l’azionario Europeo e alcune aree del mercato del credito (ad esempio le obbligazioni dei Paesi Emergenti) risultano particolarmente interessanti.

Inoltre, le opportunità d’investimento “relative value”, come conseguenza dalle azioni divergenti delle Banche Centrali e dalle irregolari transizioni economiche, saranno fondamentali per generare valore (“relative value” su diverse scadenze della curva dei rendimenti oppure tra curve dei rendimenti di diversi paesi, ma anche tra settori, paesi e valute). In questo contesto, consideriamo l’alpha come principale fonte di rendimento complessivo degli investimenti.
Nello scenario descritto (riduzione dell’indebitamento globale, crescita economica in rallentamento, rischio di errori di politica economica) la gestione del rischio sarà altrettanto, se non ancora più importante, della ricerca di rendimento. Senza contare che il rischio di liquidità di mercato è in aumento, dal momento che strumenti meno liquidi come le obbligazioni dei Paesi Emergenti, i titoli rappresentativi di prestiti, le obbligazioni High Yield, stanno diventando una componente sempre maggiore nei portafogli degli investitori.