Criptovalute, una metodologia per selezionare le migliori in cui investire

Massimo Siano (21Shares), foto ceduta

CONTRIBUTO a cura di Massimo Siano, managing director of Southern Europe di 21Shares. Contenuto sponsorizzato.

Da quando, lo scorso maggio, Terra (LUNA) ha perso in poche settimane oltre il 99% del suo valore, una delle domande che più si sono posti i player del mercato degli asset digitali è stata se un evento del genere fosse anticipabile ricorrendo a una metodologia oggettiva, che fosse anche sempre applicabile. In 21Shares abbiamo incanalato i nostri sforzi proprio in questa direzione e i risultati sono stati pubblicati all’inizio di ottobre nella settima edizione del report State of Crypto.

Quando si parla di criptovalute, molti ancora si immagino un insieme di asset omogenei e intercambiabili. In realtà, in questo mercato sono presenti circa 18mila classi di attività, anche molto diverse l’una dall’altra. Pertanto, può essere molto difficile individuare quelle che stanno crescendo perché sostenute da una spinta puramente speculativa e quelle che, al contrario, hanno dei ‘fondamentali’ e delle caratteristiche tali che possano renderle credibili agli occhi di operatori e investitori. Per questo, in 21Shares abbiamo sviluppato un approccio di analisi rigoroso che ci supporti nella selezione delle cripto su cui sviluppiamo i nostri ETP.

Per raggiungere questo obiettivo, ci siamo basati sulla classificazione delle asset class di Robert Greer, che prevede la suddivisione di queste in tre differenti macrocategorie:

  • Capital Assets, ovvero quelli che corrispondono un flusso di cassa nel tempo in modo continuativo, come le azioni e le obbligazioni
  • Asset consumabili o trasformabili, in cui rientrano tutti quei beni che per goderne devono essere consumati, come i generi alimentari o l’energia elettrica
  • Beni rifugio o riserve di valore, ovvero quei beni che non possono essere consumati, non corrispondono flussi di cassa costanti, ma hanno comunque un valore di mercato, come i metalli preziosi o le opere d’arte

Il problema con gli asset digitali è che presentano elementi in comune con tutte e tre. É quindi necessario suddividerle secondo un’altra categorizzazione, che fa leva sul tipo di algoritmo che regola la blockchain su cui sono sviluppate: Proof-of-Work (PoW) o Proof-of-Stake (PoS).

Proof-of-Work (PoW)

In questo caso, il token di riferimento non è parte integrante delle procedure che portano all’aggiunta di blocchi alla blockchain, ma è solamente l’output di un processo chiamato mining. Per questo, le criptovalute che rientrano in questa categoria, vengono definite “cripto-commodity” e, in quanto tali, il modo migliore di valutarle è utilizzare le metodologie che rientrano nella cosiddetta “valutazione relativa”, ovvero il “metodo dei multipli” o il “dimensionamento del mercato”, con quest’ultimo che è maggiormente indicato per le cripto-riserve di valore come lo stesso Bitcoin (BTC). Se si sceglie la prima via, si esegue un rapporto tra valore di mercato dell’asset considerato e il modo in cui gli investitori standardizzano il prezzo di asset comparabili, esprimibile attraverso varie misure come il rapporto prezzo/guadagni o prezzo/vendite.

Il risultato di questa operazione permetterà al singolo investitore di trarre le sue conclusioni, per esempio potrebbe stabilire che il multiplo è troppo basso e investire sull’asset in vista di una crescita futura e viceversa. Qualora si scegliesse la seconda via, invece, si seleziona un mercato totale di riferimento detto TAM (solitamente, il TAM del Bitcoin è il mercato dell’oro) e se ne stabilisce il valore totale; dopodiché, si stima una percentuale di penetrazione, ovvero quanta parte del TAM potrebbe essere “conquistata” dall’asset in esame. Moltiplicando queste due misure si ottiene la capitalizzazione massima che l’asset può raggiungere e, confrontandola con quella attuale, un investitore può farsi un’idea delle sue prospettive. Per fare un esempio, a seguire un confronto tra Bitcoin e mercato dell’oro. Se il valore totale del mercato del BTC fosse lo stesso dell’oro, allora il prezzo unitario della criptovaluta arriverebbe attorno a quota 500mila dollari.

Proof-of-Stake (PoS)

Nel secondo caso, ovvero quello di valute regolate da sistema PoS, i criptoasset generano un flusso di continuo di cassa, il che li rende simili a capital asset, come azioni o obbligazioni. La metodologia migliore per stimare questa categoria di classi di attivo è il modello DCF (Discounted Cash Flow), detto anche “valutazione intrinseca”. A differenza del caso precedente, questa necessita di molti più parametri per essere calcolato, ovvero valore attuale netto, tasso di sconto e duration. Fortunatamente, da un capital asset siamo in grado di ottenere tutto questo e di stimare il valore dell’asset come la somma dei flussi di cassa corrisposti scontati per il tempo e per il fattore di rischio. Per una criptovaluta, dato che può potenzialmente esistere per sempre, si prende come modello di riferimento un asset senza scadenza.

Vantaggi e criticità di entrambe le metodologie:

Clicca qui per scaricare il report State of Crypto.