Dalla vulnerabilità alla fragilità dei mercati

Fiorini
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Commento a cura di Fabrizio Fiorini, responsabile investimenti e vice direttore generale di UBI Pramerica SGR.

Gli eventi dell’ultimo mese hanno confermato la complessità dell’attuale quadro macroeconomico e finanziario. La “vulnerabilità”, che aveva caratterizzato i mercati finanziari nei primi mesi dell’anno, si sta trasformando in “fragilità”, due condizioni differenti. La vulnerabilità genera volatilità: le fasi di correzione dei mercati sono generalmente seguite da recuperi una volta che i mercati abbiano analizzato meglio i fattori scatenanti, ridimensionando l’eccesso di negatività inziale. La condizione di fragilità implica, invece, che si inneschino delle correzioni dei mercati anche in assenza di delusioni legate ai dati e i recuperi si dimostrino poi più difficoltosi.

Nel corso dell’ultimo mese, nonostante uno scenario nel complesso positivo, i mercati azionari hanno riportato performance negative: infatti, i rendimenti dei titoli core, considerati come un “bene rifugio”, sono scesi e i differenziali di rendimento sui titoli corporate, sui BTP e sui titoli obbligazionari dei Paesi emergenti sono saliti. Questo a causa del contesto di fragilità che si è creato e che ha portato ad attribuire un eccesso di peso negativo ad alcuni singoli eventi, nonostante uno scenario complessivo positivo. Si possono individuare sostanzialmente tre ordini di eventi che hanno contribuito alla genesi di questa fragilità:

  • La pubblicazione di una serie di dati molto forti per l’economia statunitense e di dati meno positivi per le altre economie, che ha innescato dubbi sulla tenuta della crescita sincronizzata a livello mondiale;
  • Il verificarsi di una serie di eventi particolari nei Paesi emergenti (la crisi argentina, le elezioni in Messico, Brasile e Turchia);
  • I timori di un’escalation delle tensioni commerciali tra Cina e USA, dopo che l’amministrazione statunitense ha alzato i toni sui dazi alle importazioni e la Cina ha iniziato a reagire, sebbene in modo contenuto, attraverso una svalutazione della sua valuta. Su questo punto, crediamo si tratti di controversie volte ad arrivare a una ridefinizione di squilibri realmente esistenti nel commercio tra i due Paesi.

Questi singoli eventi non sembrano avere una valenza significativa di lungo termine e vanno, quindi, ridimensionati. Tuttavia, nel complesso, la somma di questi eventi ha avuto come esito un rafforza-mento del dollaro che, a sua volta, ha innescato, nel breve termine, un circolo negativo: ha messo sotto pressione i mercati finanziari dei Paesi emergenti alimentando pressioni su tutti gli asset ritenuti più rischiosi. A sua volta la correzione dei risky asset ha alimentato timori sull’andamento generale dell’economia mondiale, creando questa situazione di fragilità dei mercati.

In un contesto simile è opportuno aumentare il carattere tattico delle scelte gestionali e rivedere gli obiettivi di medio-lungo termine per i mercati.

Questo aumento dell’avversione al rischio, dal momento che le ragioni sono note, non è tale da modifi-care il nostro scenario prospettico, ma se da un lato riteniamo non si debba sovraccaricare di significato negativo quanto avvenuto, dall’altro riteniamo che non vada neanche sottovalutato, in quanto ci avverte che i mercati potrebbero essere sempre più reattivi al ribasso a ogni sviluppo inatteso. In un contesto simile è opportuno aumentare il carattere tattico delle scelte gestionali e rivedere gli obiettivi di medio-lungo termine per i mercati.

La nostra impostazione strategica relativa agli investimenti di portafoglio non cambia:

  • un sovrappeso di mercati azionari
  • un sottopeso di titoli governativi
  • una buona predisposizione all’investimento in titoli corporate, in particolare high yield
  • un sottopeso del Dollaro che ci aspettiamo sia destinato a deprezzarsi all’interno di una normalizzazione dei cicli economici del resto del mondo.

Gli ultimi sviluppi spingono, invece, a rivedere un po’ al ribasso le aspettative di apprezzamento dei mercati azionari, per la presenza di un maggior premio al rischio e, anche, la possibilità di recupero dell’euro da ora a fine anno, abbassando il target da 1,25 a 1,22-23. Non cambia lo scenario di riferimento ma cambia l’approccio di gestione con cui occorre affrontarlo, con l’utilizzo di un approccio più tattico e una revisione al ribasso degli obiettivi, mantenendo lo stesso indirizzo strategico.