Fed: decisione obbligata, che non risolve i problemi

conti_viso
immagine concessa

La decisione della Fed di rimandare il rialzo dei tassi potrebbe rappresentare la prima pietra per scacciare i timori sulla salute dell’economia globale. Ma non è sufficiente per concludere che le paure siano passate. La seconda pietra la devono mettere i cinesi che, con i pasticci su Borsa e cambio, hanno diffuso il timore negli investitori che la Cina sia fuori controllo. La pietra tombale sulla crisi di agosto la metteranno però solo i dati macro, quando certificheranno che il ciclo economico iniziato dalle macerie del 2008 prosegue. Per quest’ultima rassicurazione ci vorrà qualche tempo.

La Fed
Se ad inizio agosto la Cina non avesse deciso una mini-svalutazione del cambio, creando una maxi-turbolenza, riteniamo che oggi la Fed avrebbe iniziato il rialzo dei tassi. Ma la Fed è un’istituzione pragmatica e ha saggiamente preso atto del fatto che nelle condizioni attuali un rialzo sarebbe inopportuno e che, in assenza di inflazione, rimandare non comporta rischi. La Fed ha dato grande peso alla fragilità del ciclo globale. E quindi, in assenza di segnali rassicuranti fuori dagli USA, il rialzo potrebbe essere rimandato ancora e ancora. In realtà sappiamo che il segnale la Fed lo aspetta dai mercati. Questo, a nostro avviso, vuol dire “fare la cosa giusta”. Vuol dire alzare senza disturbare. Appena la fiducia sulla tenuta dell’economia globale sarà tornata sopra il livello di guardia, il rialzo potrà iniziare. Magari già ad ottobre. O a dicembre. O oltre. Non oggi. Oggi i timori sulla Cina pongono la fiducia sotto il livello di guardia. 

Qualcuno argomenterà che la Fed rischia di mandare un messaggio di sfiducia sull’economia USA. E allora? Se l’economia USA fosse già preda del contagio non è certo alzando i tassi che si dà fiducia al mercato. Se invece il contagio non c’è (e non c’è) non vediamo come il messaggio di sfiducia possa attecchire. Qualcun altro obietterà che la Fed rischia di trovarsi in ritardo rispetto all’inflazione. Quando saremo a quel punto avremo un problema da ricchi, ma non è questo il momento. La Fed ha fatto la cosa giusta. L’unica sensata nelle condizioni attuali. Ma questa non-decisione, non è la soluzione a tutti i problemi.

La Cina
L’attuale incertezza è iniziata con la svalutazione della valuta cinese. Le autorità cinesi dicono che l’hanno fatto solo per rispondere alle attese del Fondo Monetario Internazionale e sperare di entrare nell’SDR (Special Drawing Rights), il paniere delle principali valute mondiali (dollaro USA, euro, yen e sterlina). E probabilmente è vero. Gli investitori però temono che le autorità cinesi siano in difficoltà nel controllare il rallentamento e possano decidere una maxi-svalutazione per prendere ossigeno. La Banca Centrale è strenuamente impegnata a mostrare che il cambio ora è stabile al nuovo livello post-svalutazione. Ma quando i “buoi sono usciti” è difficile farli rientrare. Anzi i “buoi”(capitali esteri) continuano ad uscire e questo complica il lavoro della Banca Centrale.
Sarebbe auspicabile un cambio di obiettivo da parte della Cina. Ad esempio un piano di stimolo fiscale avrebbe il pregio di mostrare che lo sforzo per contenere il rallentamento è credibile. E che non c’è più intenzione di ricorrere al cambio. La Cina ha un rapporto deficit / PIL del 2%. Può ben permettersi di aumentare la spesa pubblica.

I mercati
Vittima principale della non-decisione della Fed: il dollaro, che nelle ore successive si è indebolito. 
In realtà, se l'euro diventerà ancora più forte, la vittima sarebbe l’Eurozona (non a caso la prima reazione delle Borse europee è negativa). Un dollaro che non si rafforza va bene più o meno a tutti. Va bene agli USA. Va bene soprattutto alla Cina, che al dollaro è legata e avrebbe meno necessità di svalutare. Se però da tutto ciò ne esce solo una volontà di far scendere il dollaro, allora l’Europa rischia di avere problemi. Una guerra Yellen – Draghi è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno ora. Per questo, maggiore attivismo sulla politica fiscale sarebbe auspicabile (non solo in Cina).
 
Maggiore beneficiario della non-decisione: i titoli governativi. Tassi scesi lungo tutta la curva. Effetto meccanico del rinvio. Senza dubbio. Si dirà effetto sfiducia da economia USA. Può essere. Ma, come già detto, se l’economia USA dovesse essere già in difficoltà (e non è cosi) non è alzando i tassi che la si risolleva. Tassi a lungo termine che scendono sono stimolo. Quindi ben vengano ora che ci sono dubbi. Principale indeciso su come reagire: la Borsa USA, infatti lo S&P, poco mosso subito dopo la decisione, ha chiuso in negativo la seduta successiva. Ma era salito tanto prima del FOMC. Si è detto, la non-decisione non risolve i problemi. Ma non si può neppure concludere che li complichi. La reazione incerta della Borsa USA riflette tutto ciò. In attesa di prossimi sviluppi.