L'ultimo aggiornamento statistico della COVIP rileva una ripresa dei rendimenti dei fondi pensione italiani nei primi nove mesi dell'anno e un consolidamento sul lungo periodo. Contributo a cura di Michaela Camilleri, Area Previdenza e Finanza Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali.
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Contributo a cura di Michaela Camilleri, Area Previdenza e Finanza Centro Studi e Ricerche, Itinerari Previdenziali.
Già a partire dall’inizio del 2019, l’andamento positivo del mercato azionario ha bilanciato il calo dei rendimenti delle obbligazioni, che in agosto hanno raggiunto un minimo storico sia per il consolidarsi delle aspettative di ulteriore rallentamento della crescita economica sia per le recenti decisioni in materia di politica monetaria.
Come atto conclusivo del suo mandato, il presidente uscente della BCE Mario Draghi ha infatti ufficializzato l’ultimo round di politica accomodante, con un ulteriore taglio dei tassi d’interesse e il rilancio del Quantitative Easing, che prevede acquisti di titoli al ritmo mensile di 20 miliardi di euro senza una data di scadenza prefissata. Con questo pacchetto di misure, Draghi annunciava così il cambio della cosiddetta forward guidance, ossia la previsione sui movimenti futuri dei tassi, con l’obiettivo di assicurare condizioni finanziarie per sostenere la crescita economica dell’Eurozona e la convergenza del tasso di inflazione al livello obiettivo vicino al 2%. Obiettivo che, come ricordato dallo stesso Draghi nelle sue considerazioni d’addio, la politica monetaria può raggiungere, ma solo se le politiche di bilancio dei singoli Paesi saranno allineate.
Anche negli Stati Uniti la Federal Reserve ha ricominciato a fornire liquidità al mercato, attraverso l’acquisto di titoli a breve scadenza, per un ammontare di circa 60 miliardi di dollari al mese, almeno fino al secondo trimestre del 2020 e con l’obiettivo di “mantenere le riserve a livelli pari o superiori a quelli prevalenti agli inizi di settembre”. Inoltre, in occasione della riunione del 30 ottobre scorso, la Fed ha, per la terza volta, tagliato i tassi d’interesse portandoli nell’intervallo dall’1,5% all’1,75%.
Le ripercussioni sui rendimenti dei fondi pensione
L’andamento complessivo dei mercati finanziari si è tradotto in rendimenti di periodo positivi per i fondi pensione italiani. Gli ultimi aggiornamenti statistici pubblicati dalla COVIP rilevano che, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, tutte le categorie di fondi hanno riportato le performance in territorio positivo: i negoziali hanno guadagnato il 6,4%, i fondi aperti il 7,2%, i PIP di ramo III il 9,4% e le gestioni separate, che però, come ricorda la nota COVIP, contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dal flusso cedolare incassato sui titoli detenuti, l’1,3%. Risultati in netto rialzo rispetto a quelli registrati a fine 2018: allora infatti nessuno era riuscito a performare meglio non solo rispetto alla rivalutazione del TFR, ma anche agli altri “rendimenti obiettivo” (inflazione e media quinquennale del PIL).
In generale, si rileva come i comparti azionari, bilanciati e obbligazionari misti (che, in media a fine 2018, avevano sofferto maggiormente) sono riusciti a bilanciare le perdite e a registrare rendimenti più alti rispetto ai comparti obbligazionari puri e garantiti.
Questi rendimenti positivi in corso d’anno consolidano quelli registrati nel decennio precedente, periodo di osservazione più adeguato a valutare i risultati di investitori di lungo periodo come i fondi pensione. Nel periodo da inizio 2009 a fine 2018, il rendimento medio annuo composto è risultato pari al 3,7% per i fondi negoziali, al 4,1 per i fondi aperti, al 4 per i PIP di ramo III e al 2,7% per le gestioni separate di ramo I, a fronte di una rivalutazione media annua composta del TFR pari al 2%. Sull’orizzonte decennale, si confermano rendimenti positivi per tutte le tipologie di comparto, con gli azionari, i bilanciati e gli obbligazionari misti che registrano performance superiori rispetto ai garantiti e agli obbligazionari puri.
I principali dati di sintesi della previdenza complementare
Dati incoraggianti anche sotto il profilo delle adesioni e del patrimonio. A settembre del 2019, le posizioni in essere hanno superato i 9 milioni (+3% rispetto a dicembre 2018), che, al netto dei soggetti che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrispondono a un totale iscritti che può essere stimato in 8,190 milioni di individui. La variazione di periodo più rilevante si registra nei fondi negoziali (+4%), in larga parte spiegata dai meccanismi di adesione contrattuale previsti da dieci fondi (in particolare Prevedi, che continua a raccogliere nuove adesioni contrattuali per effetto della forte mobilità occupazionale che caratterizza il settore edile).
Alla fine di settembre, il patrimonio ammonta a 180 miliardi di euro (al netto delle variazioni nel periodo dei PIP 'vecchi', non ancora disponibili). Sotto il profilo delle risorse destinate alle prestazioni, nei nove mesi l’aumento più significativo ha riguardato i fondi aperti e i PIP 'nuovi', rispettivamente del 12,3 e del 10,7%. Si mantengono tuttavia ai vertici della classifica i fondi preesistenti con 61,9 miliardi di euro (dati risalenti a fine giugno) e i fondi negoziali con 55,4 miliardi di euro.
I risultati ci sono, cosa si può fare per migliorarli ancora?
I dati statistici appena evidenziati dimostrano come il settore della previdenza complementare sia in grado di registrare una crescita costante (seppure non a ritmi elevatissimi) e di ottenere risultati significativi. Ma questi risultati potrebbe essere ancora più positivi per almeno due ordini di ragioni, che saranno peraltro sottoposte all’attenzione della politica nel corso del Question Time che si terrà il prossimo 5 dicembre a Roma in occasione del tradizionale Convegno di Fine Anno di Itinerari Previdenziali:
- La tassazione sui rendimenti. Negli ultimi anni la tassazione sui rendimenti ottenuti dai fondi pensione è stata incrementata dall’11% al 20%, trascurando l’importante funzione previdenziale e sociale che questi Enti svolgono e favorendo, al contrario, altre tipologie di risparmio. Sarebbe utile valutare una riduzione della tassazione per riportarla almeno nei limiti previsti originariamente.
- Gli incentivi agli investimenti in economia reale. Sono ancora modeste le risorse che gli investitori istituzionali, tra cui i fondi pensione, destinano all’economia reale domestica. Nonostante se ne discuta da tempo, mancano ancora soluzioni di investimento, veicoli funzionali alla nostra economia e una fiscalità di vantaggio. I dati dimostrano come il mercato istituzionale italiano sia ancora lontano da un’allocazione degli asset in linea con le esigenze di finanziamento delle nostre imprese e, più in generale, del nostro Paese. Occorrerebbe dunque riflettere quantomeno sul fronte della semplificazione della normativa (limiti quantitativi), dei processi necessari per la realizzazione degli investimenti e di quelli per autorizzazioni e reportistica.