Gli USA e i fragile five

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Commento a cura di Enzo Puntillo, responsabile delle strategie obbligazionarie di GAM.

Dato che i tassi americani continuano a rappresentare il principale driver per molti mercati, vale la pena notare che il 2016 ha mostrato una netta separazione. Nella prima metà dell’anno, i rendimenti sono stati portati sempre più in basso toccando i minimi a inizio luglio. Da quel momento in poi, abbiamo assistito all’inizio della correzione dei rendimenti e ad un’accelerazione del trend sulla scia del risultato delle presidenziali. Le valutazioni adesso sembrano più realistiche, con il rapporto tra il quinquennale e il rendimento a 5 anni (il livello atteso dei rendimenti del Treasury a 5 anni tra 5 anni) al 3%. E quindi, con la repressione finanziaria effettivamente non prezzata, il trend dei rendimenti dipende adesso largamente dallo slancio economico.

Anche dinanzi a previsioni economiche ottimistiche, non siamo di certo in un contesto di crescita al 3-4% e riteniamo che tanto il livello dei rendimenti reali americani quanto l’alto livello del debito americano potrebbero mettere un tetto ai tassi di interesse statunitensi di lungo periodo. Il rendimento reale strutturale dei Paesi G3 rimane leggermente negativo e lo spread tra i rendimenti aggregati dei G3 e quelli statunitensi è su massimi mai toccati. Nel frattempo, il rapporto tra il debito complessivo americano e il PIL è a livelli simili a quelli toccati alla fine della seconda guerra mondiale. E la storia ci insegna che rendimenti reali bassi possono persistere a lungo se i livelli di debito si mantengono elevati.

Ovviamente, il fattore Trump è fonte di incertezza e rappresenta una sfida. Ma ciò che possiamo dire con una certa convinzione è che più rigido è il legame degli emergenti agli USA, maggiore sarà il potenziale impatto negativo. Inoltre, maggiore sarà la quota di esportazioni, più ampio sarà lo scossone di un’inversione di tendenza sul cammino del commercio globale. Di conseguenza, crediamo che il Messico sia il Paese più vulnerabile per via della tematica legata alle esportazioni americane

Una tematica positiva e duratura è quella del ribilanciamento degli emergenti. L’equilibrio cumulativo di base (partita corrente e investimenti stranieri diretti) dei cosiddetti fragile five (Turchia, Brasile, Indonesia, India e Sud Africa) ha toccato il minimo nel 2013 e questi Paesi sono ora ad un punto ragionevolmente avanzato del processo di ribilanciamento. Si tratta di un aggiustamento eterogeneo, con il cammino di ribilanciamento che è differente da Paese a Paese. Ad esempio, l’India è più avanti, ma il Brasile ha fatto grandi progressi nel 2016. E mentre gli emergenti non sono immuni dai deflussi di capitale, i progressi raggiunti significano che i Paesi non fanno più affidamento sui flussi di capitale per colmare il gap, e la crescita del debito negli emergenti sta mostrando segnali positivi di stabilizzazione sul fronte societario. La mancanza di crescita di debito negli ultimi anni ha innescato un doloroso aggiustamento sul fronte della crescita economica, ma rientra nel processo di ribilanciamento. Una volta che l’aggiustamento sarà giunto a compimento ci attendiamo di assistere ad un contesto macroeconomico più stabile, che potrebbe andare avanti per molti anni.

Nel complesso, la previsione di crescita per gli emergenti sta migliorando, ma al momento stiamo assistendo a una molto più manifesta divergenza nei cicli economici dei vari Paesi. Ad esempio, Turchia e Sud Africa sono in un percorso di chiara recessione, sebbene i rispettivi tassi di crescita non siano ancora tornati in territorio negativo. Nel frattempo, Brasile e Russia si sono avviati con decisione in una fase di ripresa, India e Indonesia sembrano essere in una fase di boom mentre la Cina sta sperimentano un periodo di rallentamento secolare.