Governi e banche centrali, un matrimonio forzato per la transizione energetica?

CONTRIBUTO a cura di Alix Chosson, lead ESG analyst for the Environmental Research & Investments e Florence Pisani, global head of Economic Research e entrambi di Candriam. Contenuto sponsorizzato da Candriam.

La transizione energetica non richiederà solo un'enorme trasformazione del sistema produttivo, delle sue infrastrutture, del suo patrimonio immobiliare. Richiederà anche un mutamento storico dei modelli di consumo, in particolare nelle economie più avanzate.

Per raggiungere l'obiettivo Net Zero emissioni di gas serra (GHG) entro il 2050, dovremo ridurre drasticamente la nostra dipendenza dai combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), che attualmente rappresentano l'80% del consumo energetico mondiale1. Ciò richiederà un enorme sviluppo nell'uso di fonti di elettricità a basse emissioni di CO2, il miglioramento della nostra capacità di stoccaggio dell'energia (batterie, idrogeno verde) e una spinta senza precedenti all'efficienza energetica, in tutti i settori.

Quali saranno i costi?

Gli investimenti necessari per questa trasformazione sono enormi. L'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE) stima che, per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, gli investimenti globali dovranno triplicare, rispetto ai livelli attuali, arrivando a circa 4-5 bilioni di dollari all'anno, entro il 20302.

L'impressionante portata degli investimenti richiesti impallidisce, tuttavia, rispetto a ciò che il mondo è destinato a perdere se dovesse scegliere l'inazione. Secondo un recente sondaggio tra gli economisti, uno scenario "business as usual" comporterebbe una perdita annua del 2,4% del PIL nel 2030... e del 10% nel 20503. Si tratta di una cifra quattro volte superiore agli investimenti necessari per evitare un disastro globale.

Il ruolo dei governi e dei legislatori è centrale. Essi non sono solo responsabili della definizione e dell'attuazione di nuove politiche ambientali, ma possiedono anche gli strumenti più appropriati per affrontare la sfida.

Tuttavia, negli ultimi anni sono aumentate le richieste alle banche centrali di svolgere un ruolo più attivo nel sostenere la transizione energetica, soprattutto in Europa. Dopo tutto, durante la pandemia COVID-19, i governi europei e la Banca Centrale Europea (BCE) sono riusciti a evitare un collasso economico grazie alla collaborazione. Questo sforzo congiunto non potrebbe essere un primo passo verso una cooperazione più stretta in futuro? Partendo da questa premessa, molti suggeriscono che fra governi e BCE si stringa quasi un matrimonio di convenienza, un'idea descritta con mordente ironia nel balletto francese "Il matrimonio forzato" di Jean-Baptiste Lully, composto circa 400 anni fa.

Nel marzo 2020, quando i governi europei hanno utilizzato i loro bilanci per sostenere le loro economie, la BCE ha lanciato un imponente programma di acquisto di titoli (Pandemic Emergency Purchasing Programme o PEPP). La decisione ha spinto i tassi di interesse a lungo termine a livelli ancora più bassi, alleggerendo l'onere del debito pubblico e contribuendo a sostenere la domanda.

Banche centrali: tutte all’opera

Perché la BCE non potrebbe creare quindi un nuovo programma per sostenere le politiche pubbliche e facilitare il finanziamento della transizione energetica? I trattati dell'UE non conferiscono alla BCE, oltre all'obiettivo della stabilità dei prezzi, il compito di "sostenere la politica economica generale nell'Unione, al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi di quest'ultima [4]"? E la transizione energetica non è forse uno degli obiettivi dell'Unione?

Le risposte non sono così semplici come potrebbero apparire a prima vista. I trattati dell'UE vietano il finanziamento monetario dei disavanzi pubblici. A meno che questa regola non venga modificata, la BCE e le banche centrali degli Stati membri non potranno finanziare direttamente la transizione energetica.

Detto questo, la politica monetaria non potrebbe comunque aiutare i governi, contribuendo a contenere i loro costi di finanziamento? Anche in questo caso i trattati condizionano l'azione della BCE. Gli interventi della BCE dovrebbero infatti mirare a sostenere le politiche dell'UE "senza pregiudizi per il suo obiettivo primario" (la stabilità dei prezzi).

Nel 2020, la cooperazione tra politiche fiscali e monetarie è stata "naturale", in quanto la banca centrale ha agito per dissipare il timore di una spirale deflazionistica. Tuttavia, nel momento in cui l'economia è vicina alla piena occupazione, questa cooperazione diventa meno ovvia. Per raggiungere il proprio obiettivo primario, ossia garantire la stabilità dei prezzi, la BCE ha oggi poca scelta. Di fronte a un'inflazione elevata e a un tasso di disoccupazione al livello più basso dalla creazione dell'euro, è obbligata ad aumentare i tassi di interesse di riferimento. La storia monetaria dimostra che riprendere il controllo dell'inflazione, dopo aver lasciato che le aspettative di inflazione andassero fuori controllo, ha un costo molto elevato.

Piano di intervento strutturale

Che si tratti dell'emergenza climatica o di qualsiasi altra crisi, mettere la banca centrale al "servizio" della politica fiscale non richiederebbe solo una modifica del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE). Fare un'eccezione per la transizione energetica creerebbe anche un pericoloso precedente: se possiamo utilizzare la politica monetaria per un progetto del genere, perché non farlo anche per l'istruzione o il miglioramento delle infrastrutture sociali?

Inoltre, l'applicazione di tali "eccezioni" distoglierebbe di fatto la politica monetaria dal suo ruolo primario di strumento di gestione del ciclo economico. La politica monetaria non è lo strumento giusto per "finanziare" programmi di spesa permanenti. E non lo sono nemmeno i deficit pubblici, che dovrebbero essere ridotti quando l'economia è vicina alla piena occupazione.

La transizione energetica richiede un piano d'intervento molto più strutturale, attuabile solo dai governi. Naturalmente, la BCE non deve ignorare il cambiamento climatico e i numerosi rischi che esso comporta, non solo per la stabilità dei prezzi ma anche per la stabilità finanziaria. Da parte loro, le banche centrali devono continuare a rendere più "verdi" le loro operazioni di politica monetaria e incoraggiare le imprese e le istituzioni finanziarie a essere più trasparenti sulle loro emissioni di CO2. Tuttavia, l'idea che la transizione energetica possa essere attuata spingendo le banche centrali ad acquistare debito pubblico rischia di rivelarsi ingannevole.


1Hannah Ritchie, Max Roser and Pablo Rosado (2022) – "Energy". Published online at OurWorldInData.org. Recuperato da: "https://ourworldindata.org/energy" [Online Resource]

2https://www.iea.org/reports/net-zero-by-2050 Net Zero by 2050 - A Roadmap for the Global Energy Sector (windows.net)

Pag. 81 "L'obiettivo NZE espande gli investimenti annuali nell'energia da poco più di 2.000 miliardi di dollari a livello globale, in media, negli ultimi cinque anni, a quasi 5.000 miliardi di dollari entro il 2030 e a 4.500 miliardi di dollari entro il 2050".

3https://www.swissre.com/dam/jcr:e73ee7c3-7f83-4c17-a2b8-8ef23a8d3312/swiss-re-institute-expertise-publication-economics-of-climate-change.pdf

4Trattato sull'Unione europea e Trattato sul funzionamento dell'Unione europea articolo 127 EUR-Lex - - EN (europa.eu)