La crescita economica è solo un miraggio

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Analizzando l'economia reale si fa molta fatica a credere ai ‘miraggi’ di ripresa dell'economia che i mercati finanziari si aspettano con le operazioni di QE di Stati Uniti, Europa e Giappone. I mercati reggono i rialzi solo se l'economia reale rispecchia dei fondamentali credibili e negli ultimi 18 mesi questi ultimi hanno prezzato dei fondamentali che non esistevano, ma che si pensava potessero realizzarsi grazie alle politiche monetarie. Adesso si è iniziato a capire che la crescita economica ritenuta scontata era solo un miraggio, mentre le politiche monetarie hanno manifestato tutto il loro limite

Al momento, non rischiamo una ricaduta in recessione, ma è evidente che le politiche economiche finora attuate non hanno risolto i problemi strutturali globali, producendo bolle speculative come l’eccesso di debito pubblico/privato e di indebitamento in dollari nelle economie emergenti, la mancanza di domanda globale, la stagnazione in Europa, nonché la mancanza di coordinamento globale sui cambi e sulle politiche di stimolo economico.

L'economia americana ha proseguito la sua fase di rallentamento e da Settembre 2015, l'unico "motore acceso" della crescita economica mondiale, ha perso circa un punto percentuale di PIL, attestando la sua crescita all'1,5% circa rispetto al 2,2%-2,5% degli ultimi tre anni. Credo che ci siano tutti i presupposti per ritenere che tale andamento dell'economia USA sarà quello che si vedrà per tutto l'anno 2016 e, allo stato attuale, non ci sono i presupposti per un recupero significativo. Europa e Giappone proseguono nella loro fase di stagnazione e l'Asia, trascinata dall'economia Cinese, continuerà a rallentare.

A questo punto appare abbastanza evidente che gli Stati Uniti, nonostante le grandi manovre espansive di politica monetaria e fiscale attuate dal 2008, hanno mediamente prodotto una crescita economica che negli ultimi 5 anni si è posizionata tra il 2% e il 2,5% di PIL, in netto ridimensionamento rispetto alle precedenti fasi positive che avevano prodotto un crescita quasi sempre intorno al 3% - 3,5%. Questo dimostra che il tasso di crescita del 3% che i mercati "rincorrono" da tempo è particolarmente difficile da raggiungere e mantenere senza un ulteriore espansione del debito privato o pubblico. In realtà il leverage basato sul debito per sostenere i consumi e gli investimenti produceva oltre un punto percentuale di PIL che ora non si riesce più a produrre, semplicemente perché il debito privato e pubblico è troppo alto e tutti sono ancora impegnati nella fase di contenimento o riduzione del debito.

Lo stesso discorso vale per l'Europa, dove il debito è più basso in generale ma dove la domanda era sostenuta dai paesi periferici (PIGS), che ora sono in evidente fase di deleverage. Il crollo della domanda proveniente dai cosi detti Paesi periferici ha sottratto quasi un punto di PIL all'intera area Euro e non vedo come potrà essere sostituito grazie al QE della BCE.

A questo punto i problemi per l'economia mondiale si complicano se la Cina è costretta a fare deleverage a causa del grande accumulo di debito pubblico e privato fatto dal 2008 in avanti per evitare di essere trascinata nella crisi globale. Infatti oggi l'intera economia Cinese evidenzia un debito del 350% del PIL (pubblico e privato) tanto quanto Stati Uniti ed Europa. Il problema è che parte del debito privato, non solo della Cina ma di tutta l'area EM, è in USD e la forza della moneta USA ha prodotto la rottura del peg Cinese nell'estate 2015, rischiando di avviare una disordinato rientro del debito in USD da parte del settore corporate in tutta l'Asia. Le Autorità Cinesi sono intervenute per impedire un deleverage disordinato che avrebbe potuto provocare un rischio di recessione globale. Tuttavia, in un modo o nell'altro, il deleverage del settore privato Cinese è ormai iniziato e difficilmente verrà interrotto. A questo punto la Cina ha dovuto approntare una serie di stimoli fiscali e monetari per contrastare il rischio di un ulteriore rallentamento dell'economia che, nella realtà, non cresce del 7% come si dice ma forse al 3%. Cosi come negli Stati Uniti la perdita di oltre un punto percentuale di PIL è ora strutturale, così anche in Cina dovranno rassegnarsi ad accettare che l'economia continuerà a crescere al 7% solo nella fantasia delle statistiche governative, mentre nella realtà tutti sappiamo che non è vero. La Cina rischia così di perdere 3 punti percentuali di PIL in modo strutturale e l'economia mondiale continuerà a ristagnare sui tassi attuali di crescita senza alcuna possibilità di recuperare quelli perduti.

A questo punto le Banche Centrali sono totalmente inermi davanti al quadro macro che si sta delineando e cercano di intervenire con minacce di ulteriori stimoli solo per impedire un crack sui mercati finanziari. Tutto rimarrà così fino a quando l'economia eviterà la ricaduta in recessione. E' tuttavia evidente che in questo scenario non possiamo attenderci un ritorno del bull market e probabilmente si delinea all'orizzonte un rischio di recessione dei profitti aziendali in un contesto di stagnazione dell'economia. Il mercato più esposto allo scenario suesposto è quello americano, che più di altri ha continuato a credere nella forza della propria economia, anche dinnanzi ad evidenti segnali di debolezza. La capacità di rialzo dell’indice SPX e l’effetto di trascinamento che può avere sugli altri mercati è prevalentemente basata sull’attività di buy back. I profitti attesi saranno costantemente rivisti al ribasso perché la congiuntura mondiale non è in grado di sostenerli e le valutazioni raggiunte dal mercato americano saranno un costante elemento di vulnerabilità.   

Per ora non si vedono rischi di una recessione imminente ma è ovvio che il contesto strutturale, sia macro che micro, rimane estremamente fragile e non compatibile con il profilo di rischio che attualmente gli investitori hanno in portafoglio. Se la congiuntura internazionale rallenta assieme a quella americana inizieranno anche ad evidenziarsi le prime difficoltà nel mercato del lavoro degli Stati Uniti che, essendo stato il principale indicatore di forza dell’economia, non è stato comunque nella condizione di fare accelerare il ciclo ed ha evidenziato quanto siano fragili i modelli utilizzati dalla FED per capire dove andrà la crescita e l’inflazione. Decidere la politica monetaria basandosi sulla Curva di Phillips significa non aver compreso quali effetti ha avuto la globalizzazione sulle dinamiche dell’inflazione ed espone la Banca Centrale americana a sistematici policy mistakes. In ogni caso la correlazione tra inflazione ed occupazione non funziona più dalla metà degli anni ottanta ed il mercato del lavoro è sempre stato un lagging indicator del ciclo economico.

In conclusione, la strategia d'investimento del fondo permane negativa sui mercati azionari di USA, Europa e Giappone. Tutte le asset class dei mercati emergenti sono praticamente dipendenti dal trend del dollaro. Se il dollaro non sarà in grado di confermare le aspettative di ulteriori rialzi dei tassi USA, avremo un rally molto significativo su tutto quanto è targato EM.