La lotta al fast fashion

Peter Michaelis Notizia
Peter Michaelis (immagine ceduta).

Contributo a cura di Peter Michaelis, head of Sustainable Investment, Liontrust Asset Management. Contenuto sponsorizzato.

La moda, per definizione, è una delle industrie che si evolvono più velocemente e che ha presentato negli anni molte sfide per gli investitori sostenibili. Il nostro lavoro su questo settore, nel corso degli ultimi due decenni, evidenzia come la nostra opinione sul tema possa cambiare nel nel tempo e mette in luce anche i nostri sforzi come active owner di alcune aziende.

Con il proliferare dell'idea di "fast fashion", le catene di fornitura dell'abbigliamento hanno subito un’incessante pressione sul lato costi, dovuta soprattutto a economie emergenti che offrono salari più bassi, leggi sul lavoro più deboli e agevolazioni fiscali per ottenere contratti dai grandi marchi. Tuttavia da quando abbiamo lanciato i fondi Sustainable Future (SF) nel 2001, il nostro punto di vista è sempre stato quello secondo cui pratiche di lavoro poco sicure e degradanti non sono compatibili con un business sostenibile e non hanno senso per la società e per gli investimenti.

La Fashion Revolution Week è diventata una parte consolidata del calendario sostenibile e l'evento dell'anno scorso, in un contesto di Covid-19, è stato ancora più  importante, spingendo le aziende a proteggere i dipendenti in tutta la loro catena di approvvigionamento in tempi di stress. In generale, l'obiettivo dell'evento è quello di aumentare la trasparenza nell'industria globale dell'abbigliamento e una parte fondamentale di questo è la pubblicazione dell'annuale Fashion Transparency Index. È la classifica dei 250 più grandi marchi di moda e rivenditori del mondo rispetto a 220 indicatori, che coprono argomenti come il benessere degli animali e il clima, il lavoro forzato, la parità di genere, la divulgazione dei fornitori, i rifiuti e il riciclaggio.

I risultati principali hanno confermato la nostra attuale view su questo settore: sebbene i miglioramenti siano evidenti, c'è ancora molto da fare: nessun marchio si avvicina al punteggio pieno e la media del 23% è deludente (rispetto al 21% dei 200 marchi intervistati nel 2019). Lodiamo il primo posto di H&M con il 73%, ed evidenziamo Puma, che deteniamo nei nostri fondi, essendo al settimo posto su 250 marchi.

Sulla base di questi risultati, riteniamo che il nostro tema di investimento basato su un migliore monitoraggio delle catene di approvvigionamento e controllo della qualità sia importante più che mai e che siano necessari enormi miglioramenti a riguardo. Solo il 2% dei marchi pubblica una strategia misurabile e delimitata nel tempo su come raggiungerà un salario di sussistenza per tutti i lavoratori delle catene di fornitura e crediamo che una tale mancanza di progresso abbia un impatto sociale chiave e i rischi durante e oltre l'epidemia di Covid-19 saranno maggiori.

Dato che il settore della moda è alle prese con le questioni della sostenibilità, abbiamo trasferito i nostri investimenti dai rivenditori al dettaglio, e vale la pena indagare sul perché abbiamo fatto questa mossa. Fin dai primi giorni dei fondi Sustainable Future, gli standard lavorativi nelle catene di fornitura sono stati una delle nostre aree di engagement più importanti e abbiamo seguito diversi progetti importanti per migliorare questo aspetto, da Oxfam, che ha lanciato Better Returns in a Better World nel 2006, alla stessa Fashion Revolution, formata sulla scia del disastro del Rana Plaza del 2013.

Dieci anni fa, abbiamo completato un progetto dettagliato per valutare le catene di fornitura dell'industria della moda, concludendo che le condizioni di lavoro erano inaccettabili in un numero significativo, che il cambiamento stava arrivando, e che c'erano opportunità disponibili per le aziende che potevano guidare i miglioramenti. Ci siamo concentrati sulla necessità di un lavoro e di salari decenti in tutta la catena e abbiamo identificato Inditex, il gruppo di cui fa parte Zara, come un investimento per i nostri fondi, in quanto credevamo che il suo modello di approvvigionamento di prossimità consentisse una forma più sostenibile di produzione.

Dopo anni di analisi continua, nel 2016 abbiamo concluso che i retailer non erano stati in grado di mostrare sufficienti miglioramenti nelle catene di approvvigionamento e l'immagine del fast fashion si era irrimediabilmente danneggiata di conseguenza. Il tema esponeva più rischi che opportunità per i grandi rivenditori e abbiamo ceduto nomi tra cui H&M e, in ultima analisi, Inditex nel 2018.

Questo non vuol dire che non troviamo più opportunità all'interno di questo tema, ma ora ci concentriamo sulle aziende che valutano le catene di fornitura per conto dei rivenditori. L'industria del Testing, Inspection and Certification (TIC) è vitale per lo sviluppo sostenibile, garantendo la sicurezza dei prodotti sia per gli utenti, che per le persone che li producono. Con catene di fornitura sempre più complesse, innovazione di prodotto, regolamenti rigorosi e richieste sempre maggiori da parte dei consumatori in materia di sostenibilità, questo settore gode di un tasso di crescita strutturale a lungo termine che dovrebbe continuare a crescere davanti al PIL globale.

Abbiamo identificato Intertek come un'azienda esposta positivamente che beneficia della crescita degli standard di sicurezza, dell'outsourcing, dei regolamenti e della sostenibilità. Ha anche il profilo di sostenibilità, i fondamentali di business e la valutazione di cui abbiamo bisogno per investire con fiducia.

Ora più che mai, la capacità di gestire una catena di approvvigionamento determinerà il successo nell'industria della moda. Crediamo che gli impatti positivi forniti attraverso la catena possano ridurre il rischio della moda e del business, sia nel breve termine, che in futuro; mentre attraversiamo la crisi del Covid-19 combattere la rivoluzione della moda non è mai stato così importante.