Petrolio meno caro: un fattore indubbiamente positivo

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Quando si dà la propria opinione su argomenti già ampiamente trattati, la tentazione è quella di voler offrire un punto di vista nuovo e sorprendente. Vorremmo essere in grado di contribuire con considerazioni inedite e presentare conclusioni talmente elaborate da poter essere frutto unicamente di analisi complesse ed esperte. Ebbene, questa volta sono felice di affermare un’ovvietà. Ed è ovvio ai miei occhi che il dimezzamento del prezzo del greggio sia la migliore notizia da lungo tempo per l’economia globale.

Le cose non sono più complicate di così? Effettivamente no. Certo è vero che non sarà uno sviluppo accolto con favore da ogni economia regionale. Per alcune aree (ad esempio i Paesi produttori di petrolio come Russia e Norvegia) è decisamente una cattiva notizia. E anche nel resto del mondo (per i Paesi consumatori della materia prima), gli effetti positivi per l’economia più in generale impiegheranno qualche tempo ad emergere. Ci sono inoltre in gioco attualmente molti altri fattori che presentano rischi reali e che potrebbero provocare forte volatilità tra indicatori, sentiment e mercati, prima che emergano gli effetti positivi del declino dei prezzi delle materie prime. A mio avviso però non vi è dubbio che a livello globale e complessivo, le società e i consumatori abbiano appena ottenuto un massiccio taglio fiscale, in termini di costi inferiori e di un potere di acquisto più elevato, non solo sul petrolio come risorsa industriale o nel fare il pieno di benzina alla pompa. Sarebbero necessari numerosi sviluppi negativi per contrastare questi effetti, e nel medio termine nulla, a livello di fondamentali, ci fa pensare che dovremmo aspettarci un così forte peggioramento degli eventi. Quindi credo sia solo una questione di tempo e che alla fine il risultato sarà piuttosto evidente, anche se il percorso potrebbe non esserlo altrettanto.

Il petrolio a buon mercato può trionfare dove la classe politica ha fallito

Dunque, se è così ovvio che la crescita globale ha appena ricevuto una forte dose di incoraggiamento, perché i rendimenti dei titoli di Stato principali continuano a cadere (e in alcuni casi ad essere negativi) e i premi di rischio sull’azionario ad essere così elevati? La recente revisione al ribasso del FMI sulle previsioni di crescita economica per quest’anno ed il prossimo mette in luce un fenomeno particolarmente evidente negli ultimi anni: una svolta di rilievo nelle convinzioni degli investitori. Il principale problema a livello globale è che le persone continuano a non credere in una crescita sostenibile e reale. E oltre a questo, sembrano aver perso la speranza nella volontà e nell’abilità dei politici e delle banche centrali di poter trovare una soluzione in tal senso. Sembra esserci una sempre più diffusa percezione che la classe politica non sia stata in grado di agire in modo adeguatamente rapido o aggressivo e che il meccanismo di trasmissione tra lo stimolo monetario e l’economia reale abbia fallito. Quest’opinione è particolarmente diffusa in aree quali l’Eurozona, che hanno visto una seconda ondata di crisi finanziaria negli anni a partire dal 2008, piuttosto che un recupero più lineare come negli Stati Uniti.

Forse questa percezione è accurata: dopo tutto le banche centrali hanno visto lievitare i fattori da tenere sotto controllo dall’inizio della crisi finanziaria globale. È perfettamente plausibile che non siano state in grado di raccogliere la sfida. Forse il meccanismo di trasmissione non ha funzionato come auspicato, con banche che non hanno usato la liquidità in eccesso per prestiti alle imprese e ai consumatori. O forse i mercati si stanno solo mostrando impazienti. L’economia ci insegna che dovremmo aspettarci un intervallo di tempo tra le azioni politiche e risultati economici reali. In ogni caso, il crollo del greggio potrebbe facilmente riuscire nell’obiettivo al quale i politici hanno puntato per lungo tempo: dare impulso all’ottimismo economico mettendo più soldi nelle tasche degli individui, affinché possano spenderli e investirli. Il meccanismo di trasmissione in questo caso è decisamente più semplice, anche se dovremmo comunque aspettarci un ritardo in termini di risultati, come è avvenuto in occasioni precedenti laddove la crescita economica è stata registrata con un ritardo rispetto al crollo del petrolio.

 

Pazienza e prospettiva

Il problema attuale è un certo livello di miopia rispetto a questo ritardo. Ciò che gli investitori hanno percepito finora è un enorme adeguamento dei prezzi materiali in un mercato finanziario considerevole. Si è trattato di uno shock, e la prima reazione è stata la paura di una potenziale instabilità a più ampio raggio. La velocità e l’entità della picchiata del petrolio hanno alimentato la confusione in un contesto già fragile. Di conseguenza, nelle ultime settimane abbiamo assistito a fasi di breve termine in cui il mercato sembra aver irrazionalmente stabilito che una diminuzione del prezzo del greggio sia buona cosa per i titoli di Stato e un fattore negativo per i titoli azionari. Non sembra esserci una giustificazione chiara (in termini di dati macro osservati di recente) a sostegno della tesi secondo la quale un greggio più debole sia sinonimo di una crescita più debole. L’FMI (tra gli altri) sembra però credere che la fragilità degli investimenti, sulla scia di aspettative di crescita inferiore delle imprese, possa oscurare gli effetti positivi del petrolio meno caro. Eppure ancora una volta non ci sono prove a sostegno di questa tesi. Gli indicatori relativi alla fiducia dei consumatori appaiono sempre più positivi. Ad esempio, dati recenti per l’Indice US NFIB sull’Ottimismo delle Piccole Imprese indicano che le piccole imprese statunitensi sono ora più positive che nel 2000, un dato quindi piuttosto roseo.

La tesi ribassista relativa al prezzo del petrolio è che i problemi di credito diretti nei settori petrolifero e gassoso causeranno un crollo immediato negli investimenti in questi segmenti, per poi contagiare altri settori. Se guardiamo alle valutazioni del credito degli ultimi 12 mesi, possiamo notare che mentre i differenziali si sono ampliati in maniera modesta in quasi tutti i settori, l’esplosione degli spread nel settore energetico è tutta un’altra storia.

La verità è che quasi tutti gli elementi non direttamente correlati all’energia non hanno subito forti cambiamenti. Pertanto non esiste prova che il mercato tema rischi di contagio. Piuttosto, sembra che le revisioni al ribasso delle previsioni di crescita globale riflettano una più ampia avversione al rischio, questo cambiamento di convinzioni degli investitori iniziato prima che il prezzo del greggio divenisse il fattore a cui tutti imputano la volatilità del mercato azionario. Se guardiamo all’assenza di correlazione di più lungo termine tra il prezzo del greggio e gli indici azionari in Paesi come Cina e Germania, con limitata esposizione al petrolio, non possiamo certo affermare che questo sia un pericolo per l’economia globale.

A mio avviso la reazione degli investitori più ribassisti è data dal persistere del trauma del 2008 nelle loro menti. Sono il ruolo giocato dal ricordo e il potere di associazione a spaventare le persone. La lezione appresa nel 2008 è che l’illiquidità rappresenta un rischio. Dunque quando i mercati azionari precipitano in modo irrazionale, stiamo assistendo a panico e alla domanda di premi di rischio più elevati per l’illiquidità percepita. Gli investitori effettueranno vendite impulsive di qualsiasi cosa in reazione a shock quali il dimezzamento del prezzo del greggio in pochi mesi, accantonando tutto tranne l’oramai radicata paura di illiquidità. Reazioni del genere non sono certo giudizi ponderati sulle conseguenze ultime del crollo petrolifero. Le opinioni delle persone sull’argomento sono inquinate da un più ampio clima di pessimismo alimentato dal “rumore” dell’ultimo anno su tutta una serie di fattori di breve termine. Per me, l’idea che dati economici leggermente più deboli per il Giappone possano essere più significativi, in termini di prospettive globali di medio termine, di una caduta del 50% del prezzo del petrolio non ha davvero alcun senso. È sempre interessante osservare come varierà la reazione comportamentale degli investitori agli sviluppi in base al momento in cui alcuni fattori vengono presi in considerazione.

Conclusione

È quindi molto difficile sostenere in modo razionale che il prezzo del petrolio possa essere altro che un fattore complessivamente positivo. I fatti dimostrano che il vero problema per l’economia globale non è una crescita interrotta, ma una mancanza di ottimismo nel condurre le imprese e i consumatori a spendere e investire. I politici non sono finora riusciti a superare questo problema. Ma potrebbe riuscirci il massiccio crollo del petrolio per conto loro. I vantaggi reali impiegheranno del tempo ad emergere, e in questo lasso di tempo, altri fattori contribuiranno probabilmente alla volatilità dei mercati in quanto gli investitori non riescono a scrollarsi di dosso lo spettro del 2008. Dobbiamo aspettarci che un aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti possa causare inizialmente forte turbolenza sui mercati finanziari, anche se ciò rifletterebbe una schiarita, e non un peggioramento, delle condizioni economiche. È possibile che il declino del petrolio riduca la necessità di innalzare i tassi limitando le pressioni inflazionistiche. Ma dovrebbe in realtà rendere più probabile un aumento dei tassi in quanto rappresenta l’opportunità migliore che l’economia globale abbia avuto negli ultimi anni per poter generare una crescita positiva sorprendente.
Suppongo che se la crescita sorprenderà positivamente, le prospettive di medio termine per l’azionario saranno buone, seppur con un certo livello di instabilità. Gli investitori azionari dovrebbero essere incoraggiati dal dimezzamento del prezzo del greggio, pazientando ed estendendo i loro orizzonti temporali per dare agli effetti positivi la possibilità di emergere. Detto ciò, la selezione dei titoli azionari gioca un ruolo fondamentale. Userei molta prudenza nell’acquistare asset direttamente correlati alle materie prime. Dobbiamo essere cauti circa l’entità degli sviluppi dei prezzi delle commodity. Non possiamo semplicemente presumere che i prezzi ritorneranno ai livelli precedenti. Negli ultimi anni sta diventando sempre più evidente che dobbiamo essere prudenti rispetto all’idea che esista un qualche livello di equilibrio in tutti gli ambiti. I vari possibili esiti di quasi ogni cosa al giorno d’oggi ci indicano che quasi nulla è evidente quando si tratta di mercati finanziari e prospettive economiche. Eccetto che il petrolio a buon mercato è un fattore positivo per la crescita.