Può essere interessante valutare quali siano le possibili strutture atte a investire il 21% "vincolato" dalla normativa PIR. A cura di Andrea Tonon, partner di Di Tanno e Associati.
La Legge 157/19 di conversione del d.l. 124/19 ha portato ad una inversione di marcia per i fondi "PIR compliant" con effetti dall’1 gennaio 2020, eliminando i precedenti obblighi di investirne il 3,5% in quote di fondi di venture capital ed un ulteriore 3,5% in strumenti emessi da PMI negoziati su sistemi multilaterali di negoziazione.
Dall’inizio del 2020, pertanto, i fondi 'PIR compliant' devono, direttamente od indirettamente, investire (i) almeno il 49% del patrimonio in strumenti finanziari emessi da imprese italiane o della UE, (ii) almeno il 17,5% nei medesimi strumenti, che però non siano inclusi nell’indice FTSE MIB, e (iii) almeno il 3,5% nei medesimi strumenti, che però non siano inclusi negli indici FTSE MIB e FTSE Mid Cap. Non vi sono altri vincoli alla composizione del portafoglio (fermi quelli di natura regolamentare).
Mentre non vi sono temi di attenzione particolari per quanto riguarda la porzione del 49%, dato che vi rientrano le usuali asset class di elezione dei fondi OICVM, può essere interessante invece valutare quali siano le possibili strutture atte ad investire il 21% "vincolato" dalla normativa PIR. Con una precisazione: sebbene la normativa PIR permetta di investire tale porzione in titoli quotati (ad esempio sull’AIM), gli spunti che seguono guardano all’auspicabile evoluzione del focus di investimento verso i titoli non quotati della c.d. 'economia reale'.
La prima ipotesi è quella dell’investimento indiretto: il fondo "PIR compliant", eventualmente costituito in forma di OICVM, potrebbe investire la quota del 21% attraverso la partecipazione a fondi chiusi in una logica di look through. Ciò permetterebbe ai gestori OICVM, inoltre, di avvantaggiarsi della specializzazione dei team di investimento dei gestori di fondi chiusi, che per loro natura hanno maggiore esperienza nella valutazione e selezione di investimenti in titoli non quotati. L’implementazione sarebbe ulteriormente facilitata qualora detti fondi chiusi fossero quotati sul MIV di Borsa Italiana, favorendo così al contempo per il fondo "PIR compliant" sia l’adeguamento del portafoglio alla disciplina PIR sia il mantenimento della liquidità degli investimenti.
La seconda ipotesi guarda invece alla strutturazione del fondo 'PIR compliant' come fondo chiuso retail: tale strumento può avere una politica di investimento variegata (ad esempio nella fase di ramp-up potrebbe essere simile a quella di un OICVM, per poi concentrarsi su investimenti più simili al private equity) ed allineata a quanto richiesto dalla normativa PIR. La minore flessibilità rispetto all’OICVM in tema di rimborso degli investitori (il disinvestimento dal fondo chiuso può avvenire solo in caso di liquidazione, di vendita delle quote a terzi o di rimborso in sede di riapertura delle sottoscrizioni) può essere ovviata mediante la quotazione del fondo sul MIV di Borsa Italiana, che faciliterebbe il disinvestimento da parte dell’investitore retail non più mediante il riscatto delle quote (come nel caso dell’OICVM) bensì tramite la cessione delle stesse sul mercato.