Quale futuro per i PIR dopo il decreto attuativo

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Andrea Tonon, Partner, Di Tanno e Associati

Contributo a cura di Andrea Tonon, Partner dello studio legale tributario Di Tanno e Associati. Tratto dalla rivista numero 31 Funds People - sezione Legale.

È stata una primavera intensa per i PIR, quantomeno dal punto di vista normativo. La Legge di Bilancio approvata a fine 2018 aveva introdotto l’obbligo di investire almeno il 3,5% del patrimonio degli schemi PIR in quote di fondi chiusi di venture capital, con l’effetto di irrigidire i gestori abituati a strutturare i fondi PIR compliant in forma di OICVM (ossia fondi aperti italiani di derivazione UCITS). Ciò in quanto gli OICVM devono investire in asset liquidi a servizio degli obblighi di rimborso verso gli investitori, mentre i fondi chiusi di venture capital sono strumenti finanziari che per loro natura non garantiscono la pronta liquidabilità. In quest’ottica, il comparto attendeva il Decreto del MISE deputato a stabilire le modalità e i criteri per l’attuazione delle previsioni di cui alla Legge di Bilancio, cosa che puntualmente è avvenuta il 30 aprile.

Il Decreto del MISE, tuttavia, si è concentrato nel definire in dettaglio le caratteristiche che i fondi di venture capital (ed i relativi fondi di fondi) devono possedere al fine di rientrare nella porzione del 3,5% dello schema PIR, specificando, altresì, alcune modalità tecniche per l’effettuazione dell’investimento. Nulla, invece, è stato previsto in relazione al tema dell’illiquidità dell’investimento in fondi di venture capital, che pertanto rimane soggetto alla precedente normativa di settore e costituisce un freno importante allo sviluppo di fondi PIR compliant in forma di OICVM.

In questo scenario, quindi, risulta opportuno ragionare su quali possano essere le alternative per la strutturazione di nuovi fondi PIR compliant, spostando l’attenzione, ad esempio, sui fondi chiusi, che in quanto tali non sono limitati dai vincoli sulla pronta liquidabilità degli investimenti che invece riguardano i fondi aperti. Le alternative paiono essere essenzialmente due: gli ELTIF e i fondi chiusi retail.

Le alternative

Gli ELTIF sono una tipologia particolare di fondi chiusi a lungo termine introdotti da un Regolamento UE, sono focalizzati su imprese non quotate e quotate di medio-piccole dimensioni, e possono investire fino al 20% anche in altri fondi, tra cui gli EuVECA (ossia i fondi europei per il venture capital). Sono, altresì, vincolati a una politica d’investimento che, particolarmente con riferimento ai limiti di concentrazione (10% in un singolo emittente) e di investimento minimo in determinati asset (almeno il 70% in imprese non quotate e quotate di medio-piccole dimensioni), risulta compatibile con quella prevista per i fondi PIR compliant.

Gli ELTIF sono, inoltre, contraddistinti da tre caratteristiche che li differenziano dai fondi chiusi retail classici: (i) la prima prevede che la durata dell’ELTIF sia allineata al ciclo di vita degli asset in cui è investito (il che ha un impatto sulla scelta dei target asset); (ii) la seconda riguarda il passaporto di commercializzazione verso gli investitori retail (una volta autorizzato in un Paese UE, l’ELTIF può essere commercializzato in tutta l’UE anche verso tali investitori, e non solo verso i professionali); (iii) la terza, infine, consiste nella facoltà degli investitori di un ELTIF di ottenere il rimborso dell’investimento prima della liquidazione del fondo, al ricorrere di certe condizioni (in estrema sintesi, si può procedere al rimborso anticipato integrale di quote per un ammontare complessivo pari ad una percentuale degli asset liquidi in cui l’ELTIF è investito). 

I fondi chiusi retail, di contro, sono uno strumento già contemplato dalla normativa nazionale che non prevede vincoli normativi per quanto riguarda la durata (potrebbe essere, ad esempio, prevista un durata almeno pari al periodo di mantenimento di cinque anni previsto per i PIR) e può avere una politica di investimento variegata (ad esempio, nella fase di ramp-up potrebbe essere simile a quella di un OICVM, per poi concentrarsi su investimenti di tipo private equity) ed allineata a quanto richiesto dalla normativa PIR sia in termini di diversificazione sia di investimento minimo in determinati asset (ad esempio, potrebbe investire in qualsiasi fondo di venture capital, non solo negli EuVECA). Rispetto agli ELTIF, tuttavia, sono meno flessibili in tema di rimborso degli investitori, dato che le uniche modalità di disinvestimento sono (i) la liquidazione del fondo, (ii) la vendita delle quote a terzi o (iii) il rimborso delle quote per un ammontare massimo pari agli importi sottoscritti da nuovi investitori in sede di riapertura delle sottoscrizioni.