Se la Grecia va meglio dell'Italia occorre ritrovare "l'equilibrio sopra la follia"

Michele De Michelis, Responsabile investimenti, Frame AM
Michele De Michelis, Responsabile investimenti, Frame AM

Contributo a cura di Michele De Michelis, responsabile degli investimenti, Frame Asset Management.

Prima del rally, lo scorso mese , abbiamo assistito ad una bella correzione, come non si vedeva da fine 2018 ed era abbastanza attesa, mentre quello che mi ha veramente stupito è stato l'andamento dei tassi sui governativi europei.

Se da un lato abbiamo visto il Bund tedesco tornare a tassi pesantemente negativi (più in basso addirittura del 2016), dall'altro abbiamo assistito al superamento del quinquennale greco sul corrispondente italiano. Dovremo forse abituarci a controllare lo spread italo-greco? Questa apparente follia ci fa comprendere quanto pesino gli aspetti politici, e non solo quelli economici, nel determinare il prezzo dei titoli.

Non bisogna dimenticare infatti che la Grecia è tecnicamente fallita e se non ha dichiarato default è stato esclusivamente per i soldi dell’Europa, mentre l'Italia, pur avendo un debito nominalmente molto più elevato, rimane pur sempre la terza economia europea e  con una ricchezza privata enorme anche rispetto al debito dello Stato.

Ma prima o poi la musica finisce e se non vengono implementate riforme importanti per rilanciare l'economia e tagliare le spese inutili, la luce si riaccende solo attraverso manovre lacrime e sangue. Normalmente in queste situazioni si dice che le cose prima di andare meglio, devono andare ancora peggio. I governanti per comprendere quanto sia seria la situazione devono spaventarsi veramente.

Sicuramente, per coloro che cercano rendimento, i BTP   vanno monitorati attentamente e valutati in una pura ottica di trading. Giusto per dare un altro riferimento ai clienti che chiedono rendimento senza rischio (impossibile), il titolo quinquennale portoghese scambia a tassi negativi intorno ai 10 punti base.

Che sia un periodo particolarmente difficile per chi gestisce denaro lo dimostra anche la vicenda della (ex) star della gestione equity Neil Woodford, che si è trovato costretto a chiudere il proprio fondo di fronte ai massicci riscatti che lo hanno colpito.

La motivazione ufficiale è ovviamente la tutela e la salvaguardia degli investitori rimasti, ed è sicuramente corretto, ma la causa reale è la mancanza di liquidità su parte del portafoglio investito. Per fare fronte alle richieste degli investitori (con riscatti pari a miliardi di sterline) il fondo ha dovuto letteralmente svendere le azioni  più liquide, facendone scendere il prezzo e mettendo peraltro  in difficoltà anche gli altri investitori che detenevano questi titoli nei loro portafogli,  per arrendersi quando il peso delle attività illiquide stava diventando preponderante. Io mi auguro che i regolatori abbiano previsto un protocollo operativo qualora queste situazioni non dovessero essere più isolate ma accadere in serie, memori di quanto accade nel 2008.