Settant'anni

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Settant’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, Stati Uniti e Giappone sono alla ricerca di come rafforzare la loro alleanza da un punto di vista economico, commerciale e politico. Avversari durante la Seconda guerra mondiale, acerrimi concorrenti economici tra gli anni ‘80 e ‘90, giapponesi e americani condividono un profondo rispetto reciproco. Questo è quanto emerge da un sondaggio effettuato dal Pew Research Insitute, pubblicato agli inizi di aprile. Secondo i risultati emersi dallo studio, circa il 75% degli americani nutre una grande o buona dose di fiducia nei confronti dei giapponesi ed il 75% di questi ultimi confida negli Stati Uniti. Più dell’80% pensa che i rapporti tra i due Paesi debbano rimanere come quelli attuali o rafforzarsi, con gli americani che sono divisi sulla possibilità che il Giappone assuma un ruolo di maggior responsabilità militare nella regione dell’Asia- Pacifico. L’animosità degli anni ‘80-‘90, quando i due Paesi si contrapponevano in una nuova guerra di tipo commerciale, sembra essere scomparsa.

Gli americani sembrano più divisi tra loro quando devono scegliere se porre più attenzione ai rapporti con la Cina o con il Giappone per sviluppare un solido rapporto economico: il 43% è a favore della Cina, il 36% indica il Giappone e il 12% sostiene che è importante avere stretti legami con entrambi i Paesi. I giapponesi, interrogati sullo stesso tema, per il 78% indicano Stati Uniti e solo il 10% la Cina. Probabilmente, in queste risposte è riflessa la percezione della forza della propria economia rispetto alle altre e le prospettive di come potrebbe evolvere la situazione nel futuro. 

Sul fronte economico i due Paesi puntano ad intensificare la cooperazione eliminando le barriere commerciali e cercando di formulare, con altre dieci nazioni, nuove regole e politiche di investimento indirizzate alla regione economica più vibrante del mondo, con l’obiettivo finale di creare un’integrazione economica e commerciale nell’area Asia-Pacifico. Ma nonostante le misure adottate dall’esecutivo a sostegno della crescita, lo sforzo di creare un contesto per favorirla e offrire al Giappone la possibilità di ridisegnare il proprio ruolo nel futuro della regione, gli effetti sperati, per il momento, tardano a palesarsi. La compagine governativa si sta prodigando a redigere e rafforzare ulteriormente le riforme per rivitalizzare l’economia, i dati macro deludono, ma a livello micro- economico si colgono importanti segnali di cambiamento, in particolare grazie all’impatto che le nuove politiche di corporate governance stanno avendo sulle imprese e sul fare impresa in Giappone.

I progressi in materia di governance ed il favorevole andamento degli utili, hanno spinto le aziende giapponesi ad adottare non solo misure di ristrutturazione, ma di cambiamento strategico nell’assegnare priorità agli obiettivi da raggiungere, quali l’efficientamento dell’utilizzo del capitale. I ritorni per gli azionisti sono aumentati sensibilmente e nel 2014 l’ammontare di shares buyback, per la per la prima sezione del Tokyo Stock Exchange, è aumentato del 60% per un ammontare pari a 3,2 trilioni di yen. A guidare questo cambiamento sono state le politiche di Governo, accolte con qualche scetticismo da osservatori esterni, che sono state recepite dalle imprese come linee guida da implementare. La decisione presa lo scorso aprile dal Institutional Shareholder Service di adottare, tra le linee guida perché gli azionisti esercitino il loro diritto di voto, un livello minimo di ROE del 5%, va in questa direzione. Lo stesso si può affermare per lo Stewardship Code e per il nuovo indice di mercato JPX400.

Il 2014 è stato un anno di importante miglioramento del “return on equity” per le imprese giapponesi. L’indicatore era stato già introdotto da diverse aziende come “key performance indicator” (KPI) negli anni novanta, ma non particolarmente utilizzato come strumento per misurare la redditività del capitale proprio: la strategia sino allora era quella di mantenere quote di mercato, dipendere dal finanziamento bancario, senza dare grande importanza al costo del capitale. Una cattiva “corporate governance” genera bassa produttività, competitività e quindi redditività. Inoltre, non porta ad una gestione adeguata della liquidità, alloca male le risorse, inibendo così il dinamismo, l’innovazione e scoraggia il “risk –taking”. Non solo, crea barriere agli investimenti esteri. L’elenco sopra riportato è la diagnosi del malessere delle imprese giapponesi dagli anni novanta in poi.

Dal prossimo giugno, per le società quotate, sarà effettivo il Japan’s Corporate Governance Code. Le aziende potranno liberamente decidere se adottarlo ma dovranno dare delle spiegazioni nel caso non lo facciano. Il codice riflette, in qualche modo e senza entrare nei singoli contenuti, visto che il testo definitivo non è ancora pronto, le strategie di crescita del Governo. È importante sottolineare come tra i principi enumerati, il codice richieda alle aziende di stabilire e rendere pubblici i propri piani di attività futura, elaborandone la strategia e fornendo degli obiettivi quantitativi da raggiungere, incluse le politiche di gestione del capitale, e le attese sugli utili. Sono richieste quasi stringenti e rischiano di creare volatilità sui mercati. Sono misure efficaci per migliorare la gestione delle aziende giapponesi? Senz’altro, anche se i risultati non si potranno cogliere immediatamente, visto che alcuni di questi cambiamenti hanno bisogno di tempo per essere implementati e generare degli effetti.

I più cinici vedono questo processo come il risultato dell’assoggettamento delle imprese alla volontà del governo, grazie all’effetto “gregge” che si genera. La realtà è che, per quanto in Giappone sia radicata la mentalità di seguire quello che fa il “leader”, i cambiamenti che stanno avvenendo non si auto-esauriscono e hanno delle conseguenze che devono essere gestite, a loro volta foriere di ulteriori mutamenti. È probabile che questi temi continueranno ad essere sempre più presenti e discussi nei prossimi anni e, visto l’elevato livello di cassa a disposizione delle aziende, con il 51% dei titoli dell’indice Topix con posizione di cassa netta e liquidità pari a 78 trilioni di yen, la remunerazione degli azionisti rimarrà un tema focale. Ovviamente, perché tutto ciò si realizzi, è necessario che gli utili crescano e la redditività aumenti, in un contesto macro economico favorevole.