Trade war, ecco il possibile scenario

Antonio Cesarano, Chief Global Strategist, Intermonte SIM
Antonio Cesarano, Chief Global Strategist, Intermonte SIM

Contributo a cura di Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim.

Trump ha minacciato l’incremento dei dazi dal 25 al 30% su beni per 250 miliardi di dollari. La data di partenza era in origine il 1° ottobre, poi spostata al 15 ottobre per consentire i negoziati attesi nei prossimi due giorni a Washington. Allo stesso tempo Trump ha mantenuto in vita la minaccia di ulteriori dazi al 15% su 160 miliardi di dollari di beni importati dalla Cina (finora esentati) a partire dal 15 dicembre. In questo gruppo rientrano soprattutto beni finali (abbigliamento, scarpe e smartphone) che quindi colpirebbero direttamente i consumatori finali, ovvero l'elettorato. Fino ad oggi infatti i beni colpiti dai dazi sono sempre stati intermedi o materie prime, come ad esempio la soia, che va ad impattare sugli agricoltori statunitensi, una fetta di elettorato importante per le prossime presidenziali.

Tuttavia la delegazione cinese (composta tra gli altri dal vicepremier e dal governatore della banca centrale) si è dichiarata disponibile ad un deal parziale, malgrado le misure Usa degli ultimi giorni (aumento delle aziende cinesi in blacklist e divieto di concessione del visto ad alcuni funzionari cinesi sospettati di aver preso parte a misure contro i musulmani nella regione dello Xinjiang). L’accordo prevede che la Cina sia disponibile a maggiori acquisti di beni agricoli (in particolare la soia), sapendo che è un tema importante per Trump vista anche l’importanza dell’elettorato rappresentato dagli agricoltori. In cambio la Cina chiede la cancellazione almeno dei dazi minacciati, tra cui quelli del 15 ottobre e del 15 dicembre ed eventualmente la cancellazione anche di quelli già imposti.

Quello che invece la Cina non è disponibile a concedere è un accordo totale che comprenda cioè anche impegni in merito al freno dei furti di proprietà intellettuale, stop ai sussidi governativi alle aziende cinesi oltre allo stop al piano Made in China 2025, secondo cui la Cina entro il 2025 diventerà leader in 10 settori (in buona parte della tecnologia), mediante anche acquisizioni di aziende estere.

La Cina appare disponibile ad un accordo solo parziale e solo alle sue condizioni. Si tratta di una proposta che sulla carta Trump difficilmente potrà accettare. In tal caso lo scenario potrebbe essere di escalation nel breve periodo delle tensioni, con partenza dell’incremento dei dazi il 15 di ottobre e rinvio dei negoziati a novembre prima di arrivare alla partenza dei dazi sui beni finali previsti dal 15 dicembre, che farebbero male anche agli Usa, dal momento che colpirebbero direttamente i consumatori/elettori Usa.