Tre rischi, una convinzione, tre regole: l’ettagono del 2018

Carlo-Benetti
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Commento a cura di Carlo Benetti, head of market research and business innovation di GAM (Italia) SGR S.p.A.

Potremmo dire che l’unica certezza è l’incertezza, e proprio l’andamento finanziario del 2017 è inequivoco monito alla fragilità delle previsioni, esercizio necessario ma di dubbia utilità. Sottraendomi, quindi, al gioco delle previsioni, mi limito a elencare tre dei maggiori rischi che potranno modificare lo scenario, ad affermare un convincimento e a ricordare tre regole di comportamento.

I tre rischi di scenario
Il primo rischio è naturalmente quello geopolitico. In giro per il mondo non mancano focolai di pericolo, negli ultimi giorni è salita la tensione in Medio Oriente. Le proteste in Iran sono state innescare dall’aumento dei prezzi, dalla disoccupazione e dalle crescenti disuguaglianze economiche. Ci sono state dimostrazioni anche nelle città sante di Qom e  Mashad, all’esasperazione per le difficoltà economiche si sono affiancate rivendicazioni di diritti civili e l’aperta contestazione alla teocrazia che governa il paese. Ma un cambio di regime è improbabile, l’amministrazione americana e la diplomazia europea non sono nelle condizioni di correggere gli errori accumulati negli anni o contrastare
la pervasiva influenza russa. Mosca non acconsentirà a un cambio di regime nei suoi confini meridionali e a un ritorno dell’influenza americana.

Altri focolai di instabilità sono la Corea del Nord, i negoziati per la Brexit, e la stessa presidenza americana. Nel 2017 la retorica protezionistica e anti ambientalista del nuovo presidente americano è stata tonitruante ma priva di effetti rilevanti sull’economia. Chi può garantire che accadrà lo stesso nel 2018, anno elettorale? Quando si parla di rischio geopolitico, in GAM non ci riferiamo solo alle crisi sparse per il mondo, piuttosto pensiamo al sopravanzare del nazionalismo mercantilista e alle sue conseguenze sull’equilibrio economico globale. Non si tratta di una questione ideologica, di un confronto intellettuale tra paladini delle libertà economiche e teorici del nazionalismo come risposta alle complessità di questo tempo. Alla base ci sono concretissime questioni di soldi, un’asimmetria economica che precede le idee: i paesi in surplus commerciale non sono danneggiati dalle distorsioni dei mercati valutari e obbligazionari come lo sono i paesi in disavanzo. Non è un caso che proprio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, entrambi con forti disavanzi commerciali, sia cresciuta la retorica della difesa nelle ridotte nazionali: Brexit e le proposte protezionistiche ne sono plastica rappresentazione.

In altre parole, il rischio geopolitico, quello più radicale e di più lungo termine, è quello di un mondo che ha superato il vecchio ordine ma non ha ancora raggiunto un nuovo ordine che sovrintenda ai nuovi equilibri. I mercati finanziari sono in mezzo, privi di macro-riferimenti ai quali ancorare le proprie valutazioni di lungo termine. “In un simile scenario la reflazione sarà raggiunta limitando la globalizzazione piuttosto che accrescendola” scrive Christian Gerlach di GAM “tale imminente risoluzione cancellerà ‘l’utopia del futuro’ e metterà i mercati finanziari a diretto contatto con la brutale spinta inflazionistica del mercantilismo”. La fine della Pax Americana potrebbe anche costituire la fine dell’assenza di volatilità.

Un’altra minaccia è costituita dalla possibile accelerazione dell’inflazione. In GAM ne parliamo da qualche mese, è un fenomeno trascurato dai mercati e dai prezzi, eppure riconoscibile nella prospettiva macroeconomica. Un ritorno inatteso avrebbe effetti dolentissimi sui portafogli, soprattutto quelli più tradizionali composti da azioni e obbligazioni, privi di diversificazione in strumenti e strategie alternative. Il terzo rischio da monitorare è l’economia cinese, alle prese con la necessità di crescere ma prestando attenzione al debito. Per le sue dimensioni l’economia cinese è 'incontournable', 
un rallentamento è nelle carte ma se superasse le attese ci sarebbero conseguenze sulle materie prime, sul commercio internazionale, sulla stessa idea che gli operatori avrebbero della crescita globale. La seconda più grande economia del mondo deve continuare a pedalare per non perdere l’equilibrio, ma dovrà controllare l’intensità della pedalata.

Il convincimento
“Il dibattito tra gestioni attive e passive è capito male perché è presentato male” scrive Larry Hatheway di GAM. Un esempio di questa rappresentazione inesatta è la scommessa di Warren Buffett. Nel 2007 Buffett mise sul piatto la posta di un milione di dollari scommettendo che nell’arco di dieci anni una replica passiva dell’indice S&P 500 avrebbe avuto un risultato superiore alla gestione attiva di un gruppo di gestori hedge. I dieci anni sono scaduti a fine 2017 e Buffett ha vinto la scommessa: il fondo passivo ha avuto un ritorno medio annuo del 7% contro poco più del 2% del paniere di fondi hedge.

Tutti a bordo dei fondi passivi dunque? Se fosse così semplice non ci sarebbe dibattito. La scommessa di Buffett era riferita alla sola borsa americana, il mercato più efficiente del mondo, le cose cambiano radicalmente quando si parla di portafogli diversificati con asset class diverse, di nicchia, in mercati meno efficienti, con strategie alternative. Notizie come quella della scommessa di Buffett alimentano la rappresentazione scorretta
 della questione. Tra strategie passive ed attive non c’è contrapposizione, piuttosto complementarietà. In soldoni, le strategie passive funzionano ottimamente in mercati positivi, la gestione attiva si rivela utile nelle fasi laterali e negative, in mercati volatili la selettività tattica dei gestori attivi offre migliore protezione. Negli ultimi anni la correlazione tra azioni e obbligazioni ha favorito le performance dei portafogli “60-40”, diversificati nella tradizionale ripartizione tra obbligazioni e azioni.

E’ improbabile che questa condizione resti inalterata nel 2018, se non altro dal lato obbligazionario, vulnerabile alla fine dei Quantitative Easing e all’incremento dei tassi. Siamo ancora nel territorio del metodo, non delle previsioni, e il metodo suggerisce che quando si verifica un cambio di gioco è meglio avere in portafoglio anche strategie attive, flessibili, alternative. La vera diversificazione considera tutte le eventualità.

Le tre regole  
Venendo invece alle considerazioni di comportamento, i primi giorni dell’anno dovrebbero essere dedicati più al riesame 
del metodo di investimento che agli esercizi previsivi. L’inizio anno è il momento dedicato ai bilanci e ai propositi, un momento propizio per verificare che i vari strumenti presenti nel portafoglio siano coerenti con gli obiettivi di medio e lungo termine. E’ l’occasione per fare il tagliando alla pianificazione familiare, rivederne le finalità e controllare con il proprio consulente di fiducia l’adeguatezza dei “conti mentali”, un aspetto decisivo per la gestione efficiente del risparmio. La composizione delle diverse classi di attivo nel portafoglio (asset allocation) è, tra tutte, la decisione più importante perché destinata a durare nel tempo, a superare le contingenze di breve periodo, le fasi di euforia come quelle di correzione. I “conti mentali” si riferiscono alla suddivisione del risparmio in accantonamenti parziali distinti per scopi e orizzonti temporali. Si valuta ad esempio quanto destinare a quando cesserà l’attività lavorativa, quanto destinare agli studi di figli o nipoti, quanto viene invece assorbito dalle spese correnti (in questa voce ci siano anche i premi assicurativi sui rischi maggiori
di capitale umano e capitale immobiliare: le assicurazioni “liberano” risorse per investimenti di lungo termine), quanto destinare a investimenti più rischiosi e quanto, semplicemente, tenere disponibile per gli imprevisti o le piacevolezze.

Una seconda buona regola è ammettere di non saperne abbastanza. Non è mai semplice riconoscere la propria inadeguatezza, anche 
se lo scenario finanziario e gli strumenti di investimento
sono sempre più complessi. Magari può bastare (e sarebbe comunque molto) sapere che quando si parla di risparmi le emozioni sono un’insidia, perché il più delle volte inducono
a decisioni avventate. L’educazione finanziaria è ancora modesta, per dirla in modo leggero, molti i risparmiatori ignorano le regole basilari di come trattare il proprio denaro, di come funzionano gli strumenti finanziari e i mercati. 

E’ entrata in vigore la MiFID II, ultima importante tessera nel mosaico delle tutele dell’investitore. Consulenza, pianificazione finanziaria familiare e conoscenze basilari sono i tre lati del medesimo triangolo, eppure non c’è norma di legge che elimini il rischio di qualsiasi strumento finanziario, non c’è 'profilatura dell’investitore' che supplisca alla mancanza delle conoscenze di base. ”Chi sa di più pianifica meglio” potrebbe essere il motto del 2018. Il paradossale 'Comma 22' dell’educazione finanziaria è che quanti ammettono la propria incompetenza e si affidano a un esperto, rivelano in realtà un’alfabetizzazione finanziaria superiore alla media. “L’unica saggezza che possiamo sperare di acquistare è quella dell’umiltà” scriveva Thomas Eliot, ed è il vero cuore della questione. Anche la terza regola contiene un paradosso, meno si guarda il portafoglio, meglio è. Il motto dell’architetto van der Rohe, “less is more”, vale anche nella gestione del risparmio. Guardare poco il portafoglio non significa disinteresse o scarsa qualità delle informazioni, che devono naturalmente essere esatte, chiare, dettagliate. Il giovamento del guardare poco il portafoglio è nell’evitare le conseguenze dell’eccesso di informazioni.

Gli smartphone e i tablet, così utili e divertenti per i loro molteplici usi, in questo caso giocano contro favorendo in qualsiasi momento l’accesso a un enorme flusso di notizie e di informazioni finanziarie. Gli psicologi comportamentali lo definiscono “information overload” o “sovraccarico cognitivo”: l’eccesso di informazioni rallenta la decisione e può portare a decisioni sbagliate. L’accesso frequente alla valorizzazione del portafoglio può avere conseguenze negative sulla performance: decisioni
 di vendita prese sulle cattive notizie, così come l’euforia 
che fa aumentare l’esposizione al rischio, compromettono
la creazione di valore nel lungo periodo. E’ ardimentoso pensare che i prossimi dodici mesi saranno effervescenti come quelli appena trascorsi, ma la gestione attiva e le tre regole auree ben chiare nella testa consentono si affrontare l’incertezza del nuovo anno con serenità.

“Le cose non vanno mai come vogliamo, ma possiamo accettare le cose come vanno” diceva lo stoico Epitteto, meglio ancora se abbiamo imparato come diversificare tenendo conto di tutte le eventualità.