Ora c’è fame di alternativi. Ma con qualche riserva

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L’asset class degli alternativi è in crescita. Così, quella che a prima vista avrebbe potuto dirsi una moda, si sta dimostrando una reale e consistente alternativa alla costruzione di un portafoglio in ottica di diversificazione. Le case prodotto non si fanno certo perdere l’occasione (basti vedere i recenti lanci da parte di case come Kairos Partners, Invesco, Legg Mason) e alcuni fondi continuano a vedere crescere la masse. È il caso di Fondaco Growth, fondo alternativo di fondi per investitori istituzionali nato a luglio 2015 che oggi è arrivato a contare su oltre un miliardo di euro di masse in gestione. “Gli investitori sono diventati sempre più consapevoli della necessità di diversificare i loro portafogli per ottenere rendimenti. Lo si vede dalla spinta verso gli alternativi a cui stiamo assistendo”, spiega JR Lowry, responsabile di State Street Global Exchange per l’area EMEA.

Continua: “alcuni risparmiatori oggi preferiscono un flusso di rendimenti liquidi simile al private equity che soddisfi le loro esigenze di asset allocation, senza i tradizionali ostacoli legati a illiquidità, mancanza di trasparenza degli investimenti e livelli elevati di investimento minimo”. In base a un’indagine di State Street, il 59% degli investitori del globo (quasi due terzi) aumenteranno la loro esposizione al private equity nei prossimi cinque anni. Ecco che gli AUM nel private equity hanno raggiunto un nuovo record di 2.400 miliardi di dollari a giugno 2015. “Gli alternativi rappresentano un’asset class fondamentale per aumentare i rendimenti, infatti il 46% degli investitori istituzionali sta pianificando di aumentare la propria esposizione a questa categoria. Ma l’approccio è molto elastico: qualora il settore del private equity non riuscisse a soddisfare la richiesta di maggior trasparenza da parte degli investitori, il 28% si dice pronto a voler ridurre le propria esposizione a questa asset class.

Ci sono degli aspetti temuti da parte degli investitori sul mondo del private equity: l’illiquidità è considerata il più grande ostacolo all’aumento dei livelli di esposizione diretta ai fondi di private equity, seguita dalla mancanza di trasparenza degli investimenti, di competenze interne e di regolamentazione. Conclude l’esperto: “la maggior parte degli investitori richiede maggiori livelli di trasparenza da parte dei gestori di private equity in merito alle performance delle attività sottostanti a ciascun portafoglio. Molti sono alla ricerca di una lettura più attenta dell’esposizione ai rischi, dei valori netti degli asset patrimoniali e dei flussi di cassa del fondo. Afferma ancora Lowry: “sia gli investitori istituzionali sia i gestori richiedono migliori soluzioni per la  gestione dei dati che dimostrino l’aumento dei livelli di trasparenza delle attività sottostanti e dell’esposizione al rischio. Risulta molto evidente dalla nostra ricerca che la mancanza di livelli adeguati di trasparenza accresce il rischio che gli investitori istituzionali sottraggano risorse agli investimenti nel private equity”.

Lo scorso mese di settembre 2015 State Street ha lanciato l’Indice State Street Liquid Private Equity Investable Index, che offre accesso al settore del private equity. Il modello è destinato a essere usato come un’approssimazione del livello di liquidità per gli investimenti diretti nel private equity ed è il primo di una serie di indici che possono essere utilizzati dagli investitori per orientare i loro processi di investimento.