Ricordi di una crisi finanziaria senza tempo

-
Unsplash

Sono passati ben 10 anni da uno degli eventi storicamente di maggior impatto sui mercati finanziari, nel bene e nel male, ovvero la crisi del 2008. Funds People ha chiesto a tre professionisti dell’industria del risparmio gestito in Italia, Spagna e Portogallo di rivivere quei momenti, raccontando la loro esperienza. “Sicuramente il fallimento di Lehman Brothers è stato l’evento che ha condizionato più profondamente il decennio successivo”, dice subito Sebastiano Chiodino, responsabile corporate bond di Pramerica SGR. “In quei giorni si viveva un senso di profonda incertezza sugli scenari futuri e il venir meno del ‘moral hazard’ nell’investimento in emittenti bancari è stato senz’altro una prima conseguenza di quei fatti dove, inizialmente, dall’Europa si guardò come a fatti remoti, rischi non replicabili in un modello bancario più tradizionale come il nostro. Ma abbiamo poi osservato il traboccamento di quella crisi verso i sistemi bancari europei, con conseguenze talvolta più diffuse e durevoli di quelle osservate oltreoceano”. L’incertezza, quindi, era ciò che caratterizzava i mercati di allora. Lo ricordano bene anche Jorge Silveira Botelho, CIO di BBVA AM Portugal, e José Miguel Maté, founder e CEO di Tressis. “Nessuno sapeva cosa stesse succedendo”, racconta il portoghese. “Il giorno di Lehman Brothers è stato sicuramente il peggior momento della crisi. Quel punto cruciale del credito, gli short in equity, ecc., ricordo che non sapevamo davvero cosa fare. C’erano molte redemption, e non potevamo vendere praticamente nulla, non c’erano bit in nessun strumento finanziario”.

Ciò che preoccupava maggiormente Maté riguardava gli impatti che avrebbe potuto avere la crisi sui suoi clienti. “La prima cosa che mi viene in mente di quel giorno è l'immagine delle ‘scatole’ dei dipendenti della banca di investimento, coi loro averi all’interno, pronti ad andarsene. Inoltre, avevo amici che lavoravano negli uffici di Lehman Brothers a Londra e a Madrid che improvvisamente si ritrovarono per strada, senza lavoro e avendo perso gran parte dei loro risparmi. Non riuscivo a smettere di pensarci. A mio parere, i momenti peggiori sono arrivati dopo la caduta di Lehman, a causa dell'incertezza sul futuro dell'economia e l'essenza stessa del business del wealth management e del private banking”. 

Lezione di vita

Secondo i tre manager, la crisi ha cambiato diversi aspetti sia per gli asset manager sia per gli investitori. Uno tra questi, l’approccio all’investimento. Dal punto di vista di un fund manager, spiega Chiodino, “l’approccio di noi gestori è cambiato in molte cose, talvolta radicalmente: da quell’esperienza abbiamo posto un’attenzione ancora più meticolosa al rischio d’illiquidità. C’è, inoltre, una consapevolezza delle conseguenze associate ad eventi estremi che non può prescindere da un’attenta analisi degli strumenti e della loro meccanica, talvolta complessa. Quanto dico si applica particolarmente agli strumenti ibridi di patrimonializzazione di emittenti bancari. Uno degli ambiti nei quali gli investitori sud europei hanno per necessità modificato il loro approccio è in relazione ai rispettivi rischi sovrani. Nei frangenti di più elevata volatilità, questi ultimi hanno, infatti, assunto natura sempre più assimilabile al rischio credito, entrando quindi in competizione con quest’ultimo nel processo di costruzione del portafoglio. In tale osmosi tra rischio credito e rischio sovrano, gli investitori periferici hanno spesso visto il rischio Paese meglio remunerato negli spread dei titoli governativi piuttosto che in quelli dei corporate bond. La conseguenza è stata che il settore privato e quello bancario in misura ancora maggiore hanno dovuto confrontarsi con condizioni di accesso ai capitali di debito e di rischio più onerose”, spiega il gestore di Pramerica SGR.

La crisi ha reso più prudente anche Maté, il che, a suo parere, ha un duplice effetto. “Quando assumo una decisione cerco di analizzare tutti gli aspetti che possano influenzarla. Mi chiedo sistematicamente cosa possa andare storto. Tuttavia, un eccesso di prudenza può portare a perdere delle opportunità. Un tale evento influenza inevitabilmente il modo in cui si investe. Per quanto concerne gli investitori spagnoli, resta da vedere se questi abbiano realmente acquisito educazione finanziaria o se siano i grandi distributori e la situazione dei tassi di interesse ‘zero’ a spingerli ad assumere posizioni più rischiose”.

“Abbiamo imparato tanto da allora, più noi europei rispetto agli americani – aggiunge Botelho - e questo per via delle vicende nel settore bancario che hanno toccato il Vecchio Continente. Il lato negativo è che abbiamo perso la cultura di investire nell’azionario, ed è un gran problema che vediamo in Europa. Ciò che noto oggi è un cambiamento generale degli asset, ma noi europei non abbiamo la cultura per investirci su. Cultura che probabilmente cambierà in futuro. Stiamo cercando di diventare molto più globali, ed è ciò che personalmente mi auguro. In termini di gestione dei portafogli dei nostri clienti, credo di esserci globalizzati. Ad oggi, ci sono diversi fattori da considerare sotto questo punto di vista. Ai clienti portoghesi non piace investire in asset europei, e questo perché non credono nell’euro, nell’Unione Europea, nel progetto europeo in generale”.

Alcune preoccupazioni

A differenza di Chiodino e Botelho, Maté appare molto preoccupato circa l’aumento del populismo, che riguarda non solo l’Italia ma anche la Spagna. “Ci sono alcune dinamiche che penso non si siano riflesse nei mercati. A volte penso che il fattore scatenante (almeno in Europa) non sarà un problema strettamente finanziario ma un effetto delle dinamiche politiche che per diversi anni hanno aumentato la loro influenza più di quanto immaginiamo. Credo che sia necessario un maggior grado di integrazione europea, che darebbe anche un messaggio positivo in termini di credibilità e, nonostante ciò, l'Europa deve ancora percorrere una strada con incertezze e tensioni che possono incidere sui mercati”, avverte lo spagnolo.

“Condizioni finanziarie restrittive a livello aggregato potrebbero essere fattori scatenanti di una futura recessione, ma non riteniamo che ciò rappresenti uno sviluppo plausibile nel breve termine. In area euro, la leva finanziaria degli emittenti, ancora moderata per lo stadio del ciclo nel quale ci troviamo, dovrebbe agevolare la gradualità del riaggiustamento per il settore privato. Riguardo al rischio sovrano, la variabile principale resta la tenuta della crescita globale”, spiega Chiodino. 

Per  quanto riguarda  il debito, Botelho fa riferimento ad alcune forze inflazionistiche a cui prestare attenzione, oltre la demografia, la tecnologia, ecc. “Un altro grosso problema è rappresentato dalla Cina, Paese di cui non sappiamo molto, soprattutto circa i suoi mercati real estate e bancario. La soluzione per risolvere il problema dell'eccessivo indebitamento globale e della spirale deflazionistica verso questo associato sta nell'aumentare la potenziale crescita dell’economia. In considerazione delle sfide demografiche, il modo più efficace per aumentare tale crescita si basa semplicemente sulla riduzione della disuguaglianza”, conclude il portoghese.