Nel 2023 l'inflazione continuerà a essere un fattore centrale

"La strada del 2023, considerati le mosse da parte delle banche centrali a fine 2022 e gli ultimi dati sull'inflazione, sembra abbastanza tracciata sia dal punto di vista dell’inflazione sia dei tassi" esordisce Andrea Dolsa, Vice DG e CIO Euromobiliare AM SGR. "L'inflazione sembra aver raggiunto il picco sia negli Stati Uniti sia in Europa, mentre i tassi dovrebbero aver raggiunto il pivot attorno ai 4,5 – 5 punti negli Stati Uniti e intorno ai 3 punti per quanto riguarda la Bce. Questo non significa che il rialzo dei tassi si fermerà, ma le banche centrali stanno iniziando a decelerare, riducendo la velocità e la quantità della restrizione monetaria".  Secondo Dolsa gli effetti sull'economia nel 2023 sono meno prevedibili, in quanto "sebbene strategist e macroeconomisti concordino per la maggior parte su una recessione più o meno importante nel primo semestre, a livello di dati l’economia sembra essere più resiliente del previsto, anche in Italia. Riteniamo che i mercati inizieranno il 2023 ancora in terreno positivo, sia sul fronte dei tassi sia sul fronte economico. L’inflazione è destinata a ridursi" continua l'esperto, che ritiene che il vero tema sarà capire quando si fermerà, "perché un livello del 5% innescherebbe una serie di problematiche. Infine le banche centrali non si sono ancora espresse chiaramente sull’eventualità di iniziare a vendere titoli di stato, in particolare la Fed, non nuova a queste pratiche. Le decisioni che prenderanno avranno impatto sia sugli stili di investimento sia sui singoli titoli. Riguardo ai tassi, invece, pensare che la Fed possa procedere a nuovi tagli appena sei mesi dall'ultimo rialzo mi sembra qualcosa di singolare. Sebbene i cicli siano sempre più veloci, sembra che i futures stiano prezzando in maniera non corretta questa possibilità".

"Il nostro scenario di base per quanto riguarda le principali economie sviluppate è abbastanza positivo per il 2023 sia dal punto di vista dell’inflazione, sebbene permangano ancora molti elementi di incertezza, sia dei tassi, con le dovute differenze" commenta Stefano Fossati, responsabile investimenti e advisory di Chebanca!, che aggiunge "Negli Stati Uniti pensiamo sia stato raggiunto il picco dell'inflazione. Se andiamo a guardare i fattori che la compongono, infatti, notiamo un allentamento importante dal quale, per il momento, si esclude solo il settore dei servizi. A fronte di questi segnali è facile ipotizzare che, onde evitare un ritorno dell’inflazione, nella prima parte del 2023 le politiche monetarie della Fed rimarranno restrittive più a lungo rispetto a ciò che il mercato sta scontando. Lo stesso Powell" prosegue Fossati "ha fatto intendere con le sue parole che sarebbe quasi più accettabile una recessione piuttosto che una nuova fiammata dell'inflazione. Diverso il discorso per l'Europa, anche perché i fattori che hanno causato l'inflazione sono prevalentemente legati al prezzo delle materie prime, soprattutto quelle energetiche, pertanto è più difficile avere una visione totalmente positiva per il 2023". Fossati ritiene che i diversi punti di incertezza legati al settore energetico, considerando che sia la rigidità dell’inverno che stiamo vivendo sia la durata del conflitto in Ucraina sono imprevedibili, potrebbero continuare a sostenere l'inflazione in Europa e a generare difficoltà. "Tant'è vero che se dobbiamo parlare di recessione, ancorché ovviamente limitata, la vediamo molto più probabile in Europa, soprattutto nella prima parte dell'anno, che negli Stati Uniti. In ogni caso, riteniamo che per quanto riguarda la Fed, il mercato stia già scontando i prossimi aumenti, e quindi di essere già vicini ai massimi. Anche in Europa non ci aspettiamo forti aumenti perché l’economia è molto più debole; pertanto la Bce non dovrebbe stringere troppo le maglie in termini di politica monetaria" Il manager vede anche degli elementi postivi: "Ad esempio, buona parte di quei famosissimi colli di bottiglia di cui abbiamo parlato nel corso dei mesi passati sono in via di risoluzione, con conseguente riduzione della spinta inflazionistica, a cominciare dalla ripresa dei trasporti via mare. Le Banche Centrali continueranno a essere gli arbitri della situazione operando a seconda dei dati di volta in volta disponibili, per cercare di evitare errori. Proprio per questa ragione, riteniamo che i tassi resteranno alti più a lungo di quanto si attende prima che riprendano i tagli".

"Per provare a ragionare su cosa ci aspetta nel 2023 è necessario comprendere le ragioni di ciò che è accaduto nel 2022" osserva Davide Elli, Chief Investment Officer for Multimanager and Alternative Investments di Fideuram AM SGR. "Abbiamo assistito a un andamento sostanzialmente negativo di tutte le asset class e a forti difficoltà di generare diversificazione dei rendimenti, a parte forse dollaro e materie prime in alcune fasi. Le ragioni di una tale volatilità sono principalmente riconducibili a un'inflazione storicamente e sorprendentemente più alta, politiche monetarie molto aggressive e simultanee da parte di tutte le banche centrali e, infine, dai fattori geopolitici". Secondo il manager è necessario interrogarsi su cosa potrebbe cambiare sotto questi aspetti nel corso del prossimo anno. "Relativamente all’inflazione, il nostro punto di vista è che probabilmente abbiamo raggiunto il picco di breve termine. Pertanto, benché persistano pressioni salariali sul medio - lungo termine da monitorare con grande attenzione, riteniamo che nel 2023 l'inflazione potrebbe trovarsi su livelli più bassi, innescando un cambio di paradigma. Per quanto riguarda la Fed" prosegue Elli "ci aspettiamo un probabile pivot a primavera 2023, che invece potrebbe verificarsi a giugno settembre per quanto riguarda la Bce, un fattore che potrebbe portare un contesto un po’ più stabile, che supporterebbe la creazione di un portafoglio con all’interno strategie volte a preservare il valore reale degli investimenti. Sarà inoltre importante vedere come le Banche Centrali reagiranno alla recessione, che prima arriverà più sarà soft e meglio verrà gestita. Il fattore geopolitico è quello più difficile da prevedere, ma rimane un fattore di primaria rilevanza in particolare per l’Europa, che ha vissuto uno shock dettato dall’influenza della guerra in Ucraina sull’offerta energetica".

Secondo Antonino Cipriano, senior sales manager - Wholesale & Institutional Europe di BNP Paribas Asset management "La crescita globale rallenterà nel corso del 2023, le probabilità di recessione sono ormai molto elevate sia per l’Europa (80%) sia per gli Stati Uniti (60%). L'elemento che determinerà l’umore dei mercati sarà ancora l'inflazione, che scenderà moderatamente e con tempistiche differenti negli Stati Uniti ed Europa". Il manager ritience che a diminuire più rapidamente sarà la componente 'headline' US rispetto alla 'core', l’indicatore più osservato dalle Banche Centrali. "Riteniamo che a fine 2023 l'inflazione 'core' sia ancora sopra i livelli desiderati delle banche centrali di Stati Uniti ed Eurozona. I tassi US registreranno nel corso dell’anno elevata volatilità anche per via della discrepanza di vedute tra gli operatori di mercato e i membri votanti della Fed. A tal riguardo", prosegue Cipriano "i Fed Funds già scontano tagli al costo del denaro a partire da giugno 2023, in largo anticipo rispetto alle aspettative dei banchieri centrali. Fed e Bce continueranno ad aumentare il costo del denaro fino ad atterrare rispettivamente in area 5% e 3%. Per i mercati obbligazionari sarà determinante quanto a lungo questi tassi rimarranno elevati, tanto più velocemente rientreranno tanto più rapida sarà la ripresa dei corsi. Una sorpresa positiva sul fronte crescita potrebbe arrivare da oriente, in particolare dalla Cina, Paese in cui negli ultimi anni ci si aspettava un’accelerazione della crescita, ma che in realtà ha agito soprattutto per mettere in sicurezza alcuni settori della propria economia, e che oggi può contare su un’inflazione contenuta e bassi tassi di interesse" conclude.