La buona performance dei bond giapponesi

Jedydjah, Flickr, Creative Commons
Jedydjah, Flickr, Creative Commons

Dopo aver chiuso il 2016 con un trend di crescita positivo durato ben quattro trimestri, il Giappone ha iniziato il nuovo anno a rilento, forse condizionato dalle politiche protezioniste di Donald Trump.

Da Amundi Asset Management, fanno sapere che una serie di indicatori economici compensa la delusione per l’improvviso calo della produzione industriale. A gennaio c’è stata infatti una contrazione inattesa dello 0,8% della produzione industriale rispetto a una stima di consenso dello 0,4%. Inoltre, i produttori prevedono un andamento altalenante, con un calo del 5% a marzo. Tuttavia, le vendite al dettaglio hanno fatto segnare un incremento dell’1% su base annua dopo lo 0,7% di gennaio. Nel quarto trimestre 2016, le aziende hanno aumentato le spese in conto capitale del 3,8% su base annua, e l’indice IPC, che non comprende gli alimenti freschi, è salito dello 0,1%, il primo incremento annuo dal dicembre 2015.

L’inattesa debolezza della produzione industriale sembra aver a che fare con il calendario lunare cinese. Inoltre, potrebbero esserci delle interferenze negli adeguamenti stagionali dei dati, tenuto conto della solidità di altri indicatori. Prosegue inoltre l’adeguamento delle scorte e un numero crescente di produttori dovrebbero essere propensi a rilanciare la produzione. La Bank of Japan non cambierà subito la sua politica visto che l’inflazione è ritornata in territorio positivo. Ciò nonostante, il mercato potrebbe rimanere in fibrillazione fin quando non giungerà la conferma che la banca centrale è realmente pronta ad allentare la pressione rialzista sulla curva dei tassi, in particolare sul segmento lungo.

A proprosito di tassi

Tuttavia, da SYZ Asset Management, fanno sapere che l’esperienza giapponese, dimostra che chi ha investito in obbligazioni a lungo termine ha realizzato performance superiori di almeno 2-3 punti percentuali non solo rispetto al rendimento teorico, ma anche agli investimenti a breve termine, e questo sarebbe stato il costo opportunità di rinunciare alle scadenze lunghe e suggerisce di mantenere un pò di risk duration nel portafoglio.

Fabrizio Quirighetti, chief investment officer co-head of Multi-Asset, e Antonio Ruggeri, portfolio manager presso SYZ AM, si interrogano su come fare performance in un quadro così poco entusiasmante. La risposta, secondo gli esperti, sta nella forma delle curve dei rendimenti. Le strutture a termine dei tassi sono normalmente e positivamente inclinate. Se ci si aspetta che a distanza di un anno i rendimenti non si saranno mossi, si può sfruttare il fatto che la vita delle obbligazioni si accorcia col passare del tempo e che pertanto un titolo a 10 anni oggi sarà un titolo a 9 anni tra 12 mesi. A titolo di esempio, un bund a 10 anni, comprato a inizio anno ad un tasso dello 0,2% e rivenduto dopo 1 anno, porterà una performance complessiva superiore a 1 punto (a curve invariate), ben più alto dello 0,2% teorico (che sarebbe invece effettivo se lo si detenesse fino a scadenza) e sicuramente molto migliore del rendimento negativo di un investimento a 3 mesi. L’esperienza giapponese è eloquente in tal senso, e ad esclusione di brevissimi periodi, a fronte di performance vicine allo zero per gli investimenti a breve termine, il rendimento totale delle obbligazioni a lungo termine è stato mediamente più alto tra il 2% e il 3%.