A valutare l'acquisizione siglata dalla società francese con Unicredit sono gli analisti di Morningstar che trattano i punti di forza e di debolezza delle recenti nozze.
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Poca convinzione sui benefici per gli investitori, ma niente panico. È questa l’idea che si sono fatti gli analisti di Morningstar a pochi giorni dall’annuncio delle nozze tra Pioneer Investments e Amundi. Lo scorso 12 dicembre Unicredit ha firmato un accordo vincolante con Amundi per vendere Pioneer alla società francese per un totale di circa 4 miliardi di euro. L’affare dovrebbe chiudersi nel secondo trimestre 2017 e già nel 2018 le due società di gestione saranno completamente integrate. Per Mara Dobrescu e Francesco Paganelli “il futuro di Pioneer adesso è meno incerto, dopo diversi anni di speculazione", a partire dalla revisione strategica di Unicredit con la fine dell’accordo di fusione con Santander. "Un’incertezza che ha pesato sul nostro parere in merito alla gestione della società per lungo tempo”, scrivono i due analisti di Morningstar.
Restano però dei dubbi. Primo tra tutti la sospensione di Tanguy Le Saout, responsabile del reddito fisso europeo, e Ali Chabaane, responsabile dell’unità costruzione dei portafogli, in merito ad un’inchiesta interna. I due fund manager volevano creare una propria boutique trasferendo masse e clienti. Proprio per questo Morningstar ha messo sotto revisione i fondi interessati. “Abbiamo anche storicamente criticato alcuni aspetti della struttura dei prezzi di Pioneer”, dicono gli analisti. “D'altro canto, abbiamo apprezzato la struttura di incentivi come un elemento positivo al fine di allineare gli interessi di azionisti e gestori”.
Per quanto riguarda Amundi invece Morningstar è convinta che “la società non abbia ancora fatto abbastanza per allinearsi con gli interessi degli investitori. Storicamente è stata opportunistica nel lanciare nuovi fondi e successivamente liquidare quelli non di successo. Un altro punto di debolezza è l’alto turnover nel team di investimento: a fine 2015, la durata media dei gestori nei fondi più grandi era di quattro anni, inferiore ad altre case simili”. Tra i punti di forza, invece, gli analisti annoverano il segmento degli ETF, “gestito in modo efficiente e da persone esperte”.
Guardando al futuro
Come sottolineato nei comunicati emessi lo scorso lunedì dalle due SGR, il nuovo gruppo nascente avrà un patrimonio in gestione di oltre 1,2 mila miliardi di euro e oltre 1500 fondi aperti in distribuzione (previa sopressione o fusione di qualche comparto). Una mole ingente all’interno della quale il gruppo francese “ha l’obiettivo di realizzare sinergie pari a 150 milioni di euro per la fusione di piattaforme di investimento, servizi IT, servizi di back-office, oltre a ridurre la duplicazione di alcuni team di investimento. Amundi prevede esuberi leggermente inferiore al 10% della forza lavoro”, scrivono ancora gli analisti. Detto questo, una serie di fattori chiave rimangono incerti, almeno fino alla fase di integrazione. Come ad esempio “la sede, la composizione del team di investimento, la possibile razionalizzazione della gamma dei fondi, la strategia di prezzi e la struttura di incentivi per i professionisti”.
Secondo Morningstar però ci sono già delle aree chiave che resteranno in campo alla buona esperienza di Pioneer, come il ramo multiasset, azionari e obbligazionari Usa e azionario europeo. “Questo potrebbe allontanate quei tema d’investimento dalle turbolenze, almeno nel medio periodo”. Al di fuori di queste aree ci sono anche punti di sovrapposizione come il fixed income in euro. “Pioneer ha una buona struttura di remunerazione del team che dovrebbe ridurre il turnover”, si legge nella nota. Tutto sommato, “anche se non siamo convinti che la fusione porterà notevoli benefici ai titolari di fondi, non crediamo che gli investitori abbiano grossi motivi di preoccupazione nell’immediato”, concludono Mara Dobrescu e Francesco Paganelli.