PIR al palo

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Kristopher Roller, Unsplash

Nessuno investe più nei Piani individuali di risparmio, o almeno non per il momento. Solo lo scorso 7 maggio con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto attuativo, i PIR 2.0 avevano fatto il loro - neanche tanto trionfale - ingresso sostituendo, si fa per dire, i prodotti precedenti. Una lunga attesa e tante polemiche avevano preparato il terreno per il loro arrivo e le critiche non si sono fatte attendere.

A esprimere preoccupazione per il nuovo impianto normativo sono stati il presidente di Assogestioni, Tommaso Corcos, e la stessa Bankitalia che nel suo ultimo rapporto sulla stabilità ha parlato di “rischi” collegati ai nuovi strumenti “caratterizzati da un basso grado di liquidità, anche in ragione delle dimensioni contenute dei mercati dei titoli emessi dalle imprese di minore dimensione”.

Ricordiamo che, come stabilito dal decreto, i nuovi piani individuali di risparmio dovranno investire una percentuale minima (il 3,5%) sull’AIM e sul venture capital. Le piccole e medie imprese oggetto d’investimento non dovranno però aver ricevuto risorse finanziarie per oltre 15 milioni né essere operative sul mercato da più di 7 anni. Una questione spinosa, quella dei PIR, che rientrerà inevitabilmente nell'agenda del nuovo Governo.

Una parabola discendente

Come ha ricordato la stessa Banca d’Italia, “tra gennaio 2017 e giugno 2018, la raccolta netta dei fondi PIR, pari a circa 13 miliardi di euro, ha rappresentato quasi il 70% del dato complessivo dei fondi aperti di diritto italiano. Nella seconda metà dello scorso anno gli afflussi di risorse verso i PIR hanno registrato un forte calo (…) Da gennaio le sottoscrizioni si sono pressoché arrestate a seguito delle modifiche alla normativa introdotte con l’ultima legge di bilancio".

E intanto, stando ai dati forniti su base trimestrale da Assogestioni, anche a fine giugno i PIR hanno riportato segno meno. La loro raccolta è passata dai -2,2 milioni di fine marzo ai -348 di fine giugno, con un patrimonio che si attesta a 18,5 miliardi. Guardando nel dettaglio, dei 72 prodotti esistenti sul mercato, tutte le categorie perdono sottoscrizioni, con gli azionari (-174 mln) e i bilanciati (-120 mln) che soffrono particolarmente. Se guardiamo poi alle singole società, i segni meno del trimestre sono quasi ovunque, fatta eccezione per Gruppo Cassa Centrale Banca (+9,7 mln), Anima (+7,8) e Banca Finnat Euramerica (+3,4 mln).

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Fonte: Assogestioni, mappa II trimestre 2019.