Più che la Fed, ci pensa la BoJ a spaventare i mercati

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Le banche centrali, mai come in questo momento storico, continuano a essere i veri attori protagonisti dei mercati e ogni loro decisione impatta su di essi in maniera a dir poco incisiva. Per Davide Marone, analista valutario, Fxcm Italia l’attivismo delle banche centrali degli USA, Nuova Zelanda, Giappone è senza confini“.

Come da copione, la FED ha cercato di tener viva una possibilità di mossa a  giugno, ma guardandosi bene dal risultare troppo aggressiva. Nello statement è  scomparso  il riferimento ai rischi rivenienti dalla congiuntura internazionale (che però resta da monitorare) ma è stato notato il rallentamento dell’attività, in particolare dei consumi e degli investimenti. Nel complesso il comunicato, col richiamo all'inflazione, ancora non soddisfacente e prossimamente esposta all'effetto base del prezzo del petrolio, ma anche la rimozione dei riferimenti ai rischi globali, "aumenta solo leggermente le possibilità di vedere un aumento dei tassi al prossimo meeting (la probabilità implicita oggi nei futures è del 21%). Tale probabilità è sicuramente compressa anche dalla considerazione della vicinanza della prossima riunione (15 giugno) alla data del referendum sulla Brexit (23 giugno)", commenta Marco Vailati, responsabile Ricerca e Investimenti di Cassa Lombarda.

Quella  che non è stata affatto tranquillizzante è stata la performance della Bank of Japan, la  quale, poche ore dopo, ha abbassato le stime di GDP e di inflazione, ma non ha toccato la stance monetaria. Nella conference Kuroda è andato oltre, smentendo i loan a tasso negativo  alle banche e reiterando la  fiducia in quanto già disposto (a fronte di risultati che lo contraddicono al momento). "Si sa, a Kuroda piacciono le sorprese", spiega Giuseppe Sersale, strategist di Anthilia Capital Partners SGR. "Trovandosi senza nulla di rivoluzionario da proporre, e a fronte di robuste attese di intervento, ha deciso di attendere un momento più propizio. Ma  il 'gran rifiuto' ha inferto un nuovo colpo alla credibilità della BOJ accentuando la percezione di impotenza delle autorità monetarie e fiscali che gli investitori già hanno dal meeting di gennaio.

L'empasse del Giappone

Senza alcun dubbio la vera protagonista è stata però la Bank of Japan. Tutto assolutamente invariato: tassi di interesse e base monetaria pur con il reminder all’eventualità di procedere a easing steps in termini di quantità, qualità e rates. "La reazione dello yen è stata dunque di eccezionale violenza con il cambio Usd/Jpy (che già scendeva per la verità) in grado di portarsi da area 111,70 ai minimi attorno a 108, insieme agli altri cross in valuta nipponica il cui effetto è stato solo in parte mitigato dalla contemporanea salita delle altre valute contro il dollaro (venduto a mani basse), e con l’indice Nikkei in totale ribaltamento da 17.500 a 16,350 punti", spiega Davide Marone. "Il Giappone, a corto di potenza di fuoco in termini di politica monetaria e fiscale,  è la  principale vittima del cambio di stance deciso a  livello globale per stabilizzare il mercato dei cambi. La sua impasse sembra il rovescio della medaglia dello stallo del dollaro, che sta creando grattacapi anche all’Europa, ma per contro aiuta il manifatturiero US, gli emerging e le commodities" aggiunge Sersale. 
In Eurozone l’ECB, che ha un arsenale ancora non cosi depauperato come quello di Kuroda, sta reagendo con nuove misure e credit easing. Oltre a ciò, il ciclo sta mostrando una maggior tenuta. Ragion per cui, "la crisi di Tokyo non è da prendere sotto gamba, ma non viene al  momento giudicata un catalyst per un selloff generalizzato dei risk asset globali", conclude Sersale.