Queste informazioni contribuiscono alla “idea generation”, afferma Resnati, mentre la valutazione più qualitativa si affida a questionari “che produciamo e mandiamo alla controparte. Gli stessi questionari, poi, seguono l’evoluzione normativa, e contribuiscono a formare il nostro giudizio sulla strutturazione della fund house in termini di sustainable investment e di come ciò si cala nel fondo in questione”.
L’approccio qualitativo prosegue in una seconda fase con l’incontro tra analista e controparti. “In questi casi spesso i nostri interlocutori sono anche i professionisti del team ESG della fund house, che descrivono l’implementazione delle tematiche ESG nei loro prodotti. Questo confronto – continua Resnati – si è andato ampliando negli anni, affiancandosi alla consueta due diligence sulla parte finanziaria”.
Il tema dell’analisi ESG vede anche il passaggio legato alla misurazione del portafoglio, affidata a metriche “che sono ancora delle stime”, rimarca l’esperta indicando come in questo passaggio spesso ci si affidi ai dati di provider come MSCI ESG, Sustainalytics o Bloomberg. “Man mano che le società pubblicheranno i dati cambieranno le metriche di portafoglio”, per cui quello attuale si configura come una sorta di “interregno”: “La direzione presa dagli investimenti sostenibili è chiara, i cambiamenti sono veloci e tanti, ma si arriverà alla fine di questo percorso quando tutte le entità saranno in grado di fornire i dati stimati e validati per ogni corporate. Quando si avranno i dati e non più solo stime allora si potrà avere un punto di arrivo”.
Il fatto che l’analisi ESG diventi nel tempo più approfondita “non toglie nulla alla rilevanza dell’obiettivo finanziario del fondo, che è battere il suo benchmark od ottenere un risultato positivo se è total return”, precisa, indicando, tuttavia, come la considerazione del rischio ESG nel processo di analisi finanziaria faccia emergere un rischio concreto “che può impattare finanziariamente le società in cui si investe “.
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