Risparmio gestito: un salto di quantità che non è (sempre) qualitativo

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Flickr, Santi Molina, creative commons

La buona notizia (già evidente dopo la pubblicazione della mappa semestrale di Assogestioni) è che il risparmio gestito è in aumento. Le famiglie italiane che scelgono di affidarsi a questo tipo d’investimento passano dall’8 al 13%. Rispetto al 2016 si registra un aumento del numero di possesori di prodotti di rispamio gestito.

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La brutta notizia è che il salto di quantità non corrisponde necessariamente ad uno qualitativo: per gli investitiori la priorità assoluta resta la sicurezza del capitale (63%), il che significa un profilo di rischio decisamente basso e una diversificazione ben lontana nei propri portafogli. Sono solo alcune delle valutazioni che emergono dall’indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2017 “Consapevolezza, fiducia, crescita: le sfide dell’educazione finanziaria”, un progetto del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo.

I risultati, che toccano tematiche che vanno dai redditi della famiglie all’alfabetizzazione finanziaria, serbano uno spazio interessante acnhe agli investimenti degli intervistati. “I piccoli risparmiatori, scrive l’economista e curatore dell’indagine Giuseppe Russo, “sembrano partite bene, ossia dalla protezione del capitale, ma proseguire male, perché cercano la sicurezza nel posto sbagliato, ossia in investimenti intrinsicamente sicuri anziché nella diverificazione dei loro portafogli”. Oltre la metà dei risparmiatori (52,1%) dichiara infatti di non avere alcuna diversificazione, con oltre i due terzi della propria ricchezza finanziaria impiegata nella stessa forma di investimento. Solo il 5,1 percento del campione dichiara un alto grado di diversificazione e non dedica ad alcuna forma di investimento più di un decimo dei propri risparmi.

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La preferenza assoluta per la sicurezza degli investimenti, secondo l’indagine, porta a tre effetti importanti: da una parte la crescita della liquidità investita dalle famiglie negli strumenti di deposito; in secondo luogo la riduzione dell’investimento in obbligazioni e infine appunto la crescita del risparmio gestito. Ma i motivi di questo aumento non sono sempre virtuosi. Per il 46% degli intervistati infatti investire parte del patrimonio nel risparmio gestito equivale e non doversene più occupare, perché sottende una difficoltà a scegliere gli investimenti. “C’è una mancanza di consapevolezza all’origine”, scrive Gabriele Guggiola, director in PricewaterhouseCoopers nellʼambito financial sector. “Solo il 23,8% degli investitiori conosce la differenza tra azioni e risparmio gestito, il 43,9 la comprende in parte, quasi un terzo non sa distinguere tra le due forme d’investimento”. In generale, tra gli intervistati, il quadro che emerge è che fondi comuni e gestioni patrimoniali piacciono più a fasce di età intermedia, residenti al Nord, con reddito e istruzione più elevati. ETF e polizze Unit Linked invece sono quasi sconosciuti tra i più giovani, i meno istruiti e le famiglie con reddito più basso.

Nota a margine: la soddisfazione per il risparmio gestito è elevata. Il 79% si dichiara molto o abbastanza soddisfatto. “Si osserva peralto un trend positivo negli ultimi anni: dopo un calo tra il 2001 e il 2005 (quando probabilmente i risparmiatori avevano velleità di guadagno maggiori e non vedevano un plus nella tranquillità del risparmio gestito), cʼè stato un miglioramento quasi costante del gradimento per questa forma di investimento”, conclude Guggiola.