Robo advisor? Sì, ma meglio se ibrido

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L’impulso delle innovazioni tecnologiche e regolamentari sta determinando una forte evoluzione nei contenuti e nelle modalità di prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti. Nello specifico, l’applicazione della tecnologia ai servizi finanziari ha dato origine al fenomeno della consulenza automatizzata, meglio conosciuta come robo advice, la cui diffusione è sempre maggiore. Questa viene spesso indicata come un “fenomeno potenzialmente in grado di colmare il cosiddetto advice gap, ossia in grado di raggiungere l’ampia fascia di investitori ‘underserved’ o che non riescono ad accedere al servizio perché hanno un patrimonio basso, ovvero perché il prezzo di offerta è superiore alla loro disponibilità a pagare”.

A sottolinearlo sono gli autori del nuovo studio pubblicato da CONSOB nella collana dei Quaderni FinTech dal titolo ‘Valore della consulenza finanziaria e robo advice nella percezione degli investitori. Evidenze da un’analisi qualitativa’, realizzato in collaborazione con l’Università Roma TRE e l’Università LUMSA. Come specificano gli esperti, il modello di servizio proposto da un robo advice, prevedendo soglie patrimoniali di accesso e costi più contenuti rispetto alla consulenza tradizionale, potrebbe risultare attrattivo per gli investitori a patto che essi siano disposti a investire tramite una piattaforma digitale.

Lo studio

L’indagine, il cui obiettivo è identificare i fattori che possono favorire l’accettazione della tecnologia (e conseguentemente una maggior propensione degli investitori ad utilizzare canali digitali nelle loro decisioni d’investimento), si è basata su due focus group, composti rispettivamente da investitori assistiti da consulenti finanziari e investitori privi di un servizio di consulenza dedicato, nonché su quattro interviste individuali a utenti di uno dei principali robo advisor operante sul mercato italiano.

Tra gli elementi di stimolo della domanda potenziale di robo advice emergono la curiosità e l’apertura a valutare l’innovazione, la preferenza per l’oggettività dei consigli elaborati da un algoritmo a fronte della discrezionalità della consulenza umana, ulteriori elementi attinenti alla user experience e, in alcuni casi, l’insoddisfazione derivante dalle precedenti esperienze d’investimento. Al contrario, l’attrattività del servizio digitale è indebolita dalla mancanza di un riferimento umano permanente e varie percezioni soggettive di insicurezza, dovute anche alla mancanza di una solida cultura finanziaria o a timori connessi alla sicurezza informatica e al trattamento di dati sensibili. L’interesse per il robo advice resta ancorato alla possibilità di interagire con un consulente nell’ambito di un modello ibrido, in grado di conciliare elementi digitali e human touch.

Lo studio fornisce evidenze d’interesse anche per possibili implicazioni in termini di consumer protection, in generale, e di educazione finanziaria, in particolare. La comprensione dell’importanza del risparmio e della gestione oculata del denaro è un aspetto certamente positivo, che tuttavia si stempera nella scarsa propensione a pianificare in modo strutturato. Sul fronte della conoscenza del servizio di consulenza permane, soprattutto tra i soggetti meno sofisticati, una scarsa consapevolezza dei costi del servizio e dell’importanza dello scambio informativo consulente-cliente ai fini della valutazione di adeguatezza. Emergono, quindi, diverse carenze nella conoscenza e nei comportamenti che potrebbero essere mitigate dall’interazione con il consulente che gli investitori riconoscono come un importante punto di riferimento in tutte le fasi del processo d’investimento, anche per la funzione educativa svolta.

Il robo advisor in cifre

Stando ai dati più recenti, infatti, a fine 2019 le masse complessivamente gestite da robo advisor dovrebbero essere pari a circa 980 miliardi di dollari (a livello globale), mentre il portafoglio medio si aggirerebbe attorno ai 21 mila dollari. Inoltre, si prevede che gli AuM riferibili alla consulenza automatizzata registreranno un tasso medio di crescita annuo del 27%, fino a raggiungere i 2.552 miliardi di dollari nel 2023, quando il numero complessivo dei clienti serviti dovrebbe superare i 147 milioni.

Attualmente, è il mercato statunitense quello più maturo con quasi 750 miliardi di dollari di AuM (dato al 2019) e 200 operatori attivi (dato al 2017). Seguono quello cinese (179,4 mld) e quello del Regno Unito (14,8 mld), entrambi con un numero di operatori pari a 20 (fonte: Burnmark, Digital Wealth, aprile 2017). Per quanto riguarda il mercato italiano, si stima che nel 2019 le masse gestite da robo advisors supereranno i 400 milioni di dollari (con un patrimonio medio pari a poco più di 12 mila dollari a cliente), mentre il tasso medio di crescita previsto tra il 2019 e il 2023 si attesta complessivamente attorno al 51%.