La gestione attiva è ancora in grado di generare valore?

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È atteggiamento diffuso tra gli investitori dubitare delle capacità dei gestori di battere il proprio benchmark, chiedendosi se talvolta non sia meglio prediligere le strategie passive a quelle attive. È bene non generalizzare, tenendo sempre presente che “per scegliere bene i prodotti in cui investire è necessario comprendere a pieno i meccanismi del mercato dei fondi comuni”. Lo ricorda Giuliano D’Acunti, direttore commerciale Invesco Italia che, in un recente studio condotto da Invesco Mindset, la piattaforma educationaldell’entità, ha dimostrato come la gestione attiva possa ancora creare valore.

La ricerca condotta da Invesco ha coinvolto circa 3.000 fondi comuni in 17 diverse categorie azionarie diverse, analizzando la loro performance al netto di commissioni nell’arco di 20 anni (coprendo, cioè, cinque cicli di mercato differenti). Il risultato è stato che oltre il 60% dei fondi presi in considerazione ha sovraperformato il benchmark. La gestione attiva ha registrato performance decisamente migliori rispetto a quelle passive, più legate al benchmark di riferimento ponderati in funzione della capitalizzazione di mercato.

Criteri di misurazione 

Per spiegare i risultati della sua indagine, Invesco pone l’accento su concetti che spesso gli investitori riducono all’osso, finendo col perderne di vista il reale significato. Tra questi, le stesse nozioni di gestione attiva e passiva. Non sempre, infatti, i fondi attivi sono quelli guidati da gestori che prendono decisioni di investimento mentre quelli passivi si limitano a replicare i titoli che compongono un indice. Esistono team che pur adottando una gestione attiva non possono allontanarsi troppo dal rispettivo benchmark o fondi passivi che replicano indici costruiti in modo estremamente diverso dai tradizionali benchmark. I fattori che permettono di definire attiva una gestione, inoltre, sono molteplici, estremamente variabili e si combinano con elementi qualitativi come l’esperienza del gestore e la filosofia d’investimento. Dovrebbe essere la ponderazione di tutti questi fattori a determinare il processo decisionale di un gestore, oltre che il suo successo o fallimento. 

Assodata l’importanza di questi elementi, Invesco ha adottato per lo studio in questione il parametro della ‘componente attiva’ che misura la differenza tra le partecipazioni nel portafoglio di un fondo e quelle incluse nel relativo benchmark. Secondo questo principio, un fondo ha una componente attiva più elevata quando possiede titoli che non sono inclusi nel bechmark, esclude quelli che sono compresi in esso e detiene le stesse società presenti nel benchmark ma con ponderazioni diverse. Di conseguenza, se un fondo detiene titoli completamente diversi dal proprio indice di riferimento avrà una componente attiva pari al 100%, viceversa, se rispecchia perfettamente il proprio benchmark il valore di componente attiva sarà pari allo 0%. L’elevata componente attiva è stata quindi considerata come indicatore di gestione attiva, fissando per la sua determinazione una soglia del 60%. Una volta stabilito il metro di valutazione, la società ha esaminato la relazione tra gestione attiva e performance al netto delle commissioni su circa 3000 fondi comuni in un’ampia gamma di asset class azionarie.

Anche la tipologia del benchmark influisce sui livelli di componente attiva. Si pensi, ad esempio, all’indice S&P 500, caratterizzato da un maggior grado di concentrazione e all’indice Russel 2000, più diversificato. I fondi di titoli ad alta capitalizzazione relazionati al primo, registrano livelli di componente attiva inferiore rispetto a quelli a bassa capitalizzazione rapportati al secondo benchmark. Questo perché discostarsi da un indice composto da migliaia di titoli è più facile che farlo da uno che ne possiede centinaia.

Il grafico sottostante schematizza i risultati dello studio. La scelta di analizzare la performance dei fondi per cicli di mercato, e non rispetto a momenti precisi, non è stata casuale. Questa prospettiva, infatti, permette di tenere conto di tutti i rialzi e i ribassi che incidono sulla performance complessiva, riflettendo fedelmente l’esperienza degli investitori.

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A partire dai dati ottenuti, si è proceduto alla misurazione della sovraperformance della gestione attiva in termini di rendimenti addizionali, downside capture e rendimenti corretti per il rischio. Stando alle analisi condotte, la gestione attiva ha storicamente generato performance superiori al benchmark. Ma per applicare questi risultati a un portafoglio non è sufficiente selezionare fondi con una componente attiva più elevata. Non sempre, infatti, questo dato rappresenta un aspetto positivo in quanto, se da un lato esprime una filosofia di fondo ben precisa e un processo chiaramente articolato da parte del gestore, dall’altra può rappresentare l’eventualità che quest’ultimo adotti una deviazione non dichiarata dallo stile prescelto, rischiando di compromettere la performance a seconda delle condizioni del mercato.