Tutte le vie del dollaro USA

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Sharon McCutcheon, Unsplash

Un movimento ampio e significativo nell'arco di pochi mesi quello del dollaro statunitense, che a partire dall’inizio di maggio ha iniziato un percorso di flessione, in particolare rispetto all’euro, fino ad arrivare all’attuale cambio di poco inferiore a 1,20 nei confronti della moneta unica europea. “Per contestualizzare”, sottolinea Peter Kinsella, global head of Forex Strategy di Union Bancaire Privée (UBP), "negli ultimi due anni il cambio euro/dollaro statunitense ha oscillato in un trading range ristretto, tra 1,06 e 1,14”.

I motivi sono molteplici e così sintetizzati da Kinsella: “la compressione del differenziale dei tassi d'interesse, le valutazioni sotto pressione, il calo scioccante del tasso di risparmio statunitense e la riduzione del sostegno governativo USA alle istituzioni economiche multilaterali”.

Un percorso accidentato

Ampliando il discorso all’intero quadro valutario e più in generale al panorama degli investitori globali, comprendere i possibili movimenti della valuta americana è come sempre di primaria importanza. “Con l’arrivo della pandemia di Covid-19 all’inizio del 2020, il dollaro ha registrato un picco a causa della forte domanda di liquidità, con le linee di swap della Fed che hanno allentato le tensioni sul finanziamento in dollari. Da allora, il dollaro è stato in costante discesa e circa la metà della sua corsa al rialzo dal 2018 è stata neutralizzata nell’arco degli ultimi tre mesi”, spiega Jean-Baptiste Berthon, senior Cross-Asset strategist di Lyxor Asset Management.

“Uno dei principali driver è lo spostamento della Fed verso una funzione di reazione strutturalmente più accondiscendente”, afferma Willem Verhagen, senior economist Multi-asset di NN Investment Partners. “Il movimento più significativo di deprezzamento del dollaro è stato nei confronti dell'euro ed un motivo importante è la qualità del mix di politiche fiscali e monetarie in Europa, superiore a quello statunitense, che ha reso il Vecchio Continente una destinazione più attraente per il capitale globale”, aggiunge.

Lunga vita al dollaro (seppur debole)

“Nel breve periodo, il dollaro potrebbe godere di una tregua, ma nel lungo periodo ci aspettiamo che il dollaro si indebolisca ulteriormente”, analizza Berthon. “A nostro avviso, tuttavia", prosegue, "le preoccupazioni sullo stato delle riserve valutarie del dollaro sono eccessive. Le riserve e le transazioni in dollari rimangono dominanti rispetto alle due possibili alternative: l'euro e l'oro”.

Il dollaro, insomma, “regna ancora incontrastato”, concorda Verhagen. “La scomparsa del dollaro come valuta di riserva dominante a livello mondiale”, fa notare, “è un tema ricorrente ogni volta che il biglietto verde sembra incontrare una tendenza al deprezzamento”. “Tuttavia, l'esperienza del Regno Unito di un secolo fa suggerisce che un Paese può rimanere l'emittente della valuta di riserva dominante anche molto tempo dopo il relativo declino economico e geopolitico. Questo suggerisce che la detronizzazione del dollaro, se e quando avverrà, riguarderà un futuro più lontano, anche perché non sembrano esserci alternative praticabili a breve termine. L'Europa sta appena cominciando ad affrontare le proprie carenze istituzionali, mentre i mercati finanziari cinesi non sono abbastanza profondi e liquidi con il governo che esercita ancora rigidi controlli sui capitali”, completa.