Tutti gli errori da evitare nell'approccio ai PIR alternativi

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Luigi Terranova, amministratore delegato, Riello Investimenti Partners SGR

L'Italia è un Paese di piccole e medie imprese. Questo adagio che costituisce la sintesi di un intero sistema economico si traduce nel modo post Covid-19 nell'aumento di rilevanza di una storica esigenza delle compagnie italiane. Quella del reperimento dei capitali con canali alternativi a quello bancario. "Le imprese", sottolinea Luigi Terranova, amministratore delegato di Riello Investimenti, "si trovano a programmare un percorso di ripresa, che non potrà sempre essere fondato sul “business as usual”, ma che dovrà essere ben strutturato e solido proprio per affrontare e superare un periodo complesso con cambiamenti strutturali". "Si modificano ora le condizioni per operare sul mercato con successo, e gli interventi sull’indebitamento finanziario non sono più sufficienti per prepararsi ad una nuova ripresa", completa.

Più capitali attraverso i PIR alternativi

L'attenzione di Terranova si concentra in particolare su quelle piccole e medie imprese "virtuose e resilienti, ma spesso carenti di capitali propri". "Perché oggi più che mai occorre aggiungere equity alle aziende?", si chiede. "Le imprese dovranno ripensare le strategie di medio termine, privilegiando la flessibilità e la resilienza; potranno nascere delle grandi opportunità o invece potranno uscire dal mercato le imprese più rigide e lente, non capaci di affrontare un cambiamento strutturale. La condizione imposta dal Covid rende più vulnerabili le imprese, obbligandole ad agire in velocità, a costruire una struttura di costi più variabili, e processi aziendali snelli", spiega il manager.

Parte della soluzione a questo problema può arrivare grazie ad alcune misure introdotte dal Governo con il "decreto Rilancio" del 19 maggio 2020, in particolare gli aumenti di capitale agevolati con un credito d’imposta e l’introduzione dei PIR Alternativi. È in particolare su questi che si concentra l'attenzione di Terranova.

L’obiettivo, sicuramente ambizioso, è convogliare il risparmio privato verso le piccole e medie imprese italiane, grazie all'obbligo di investire almeno il 70% in strumenti finanziari emessi da imprese quotate in indici diversi dai FTSE MIB e FTSE Mid Cap, e soprattutto non quotate italiane o estere residenti nella UE o SEE con stabile organizzazione nel territorio dello Stato al fine di ottenere il beneficio fiscale previsto dalla norma.

"Diversamente dai PIR ordinari, introdotti in Italia nel dicembre 2016, e che hanno avuto un successo inaspettato sino a raggiungere 18,5 miliardi di euro di masse gestite, gli alternativi sono adatti ad un investitore con una capacità patrimoniale più elevata, in quanto gli importi massimi che questi possono destinare allo strumento sono pari a 150.000 euro all’anno fino al limite di 1.500.000 euro", entra nel dettaglio l'amministratore delegato di Riello Investimenti, sottolineando inoltre come siano investimenti illiquidi e dunque adatti a "chi è in grado di tenere il proprio patrimonio fermo per un periodo di tempo lungo, o come affermato da qualcuno, a paziente maturazione”.

I fattori intangibili e gli errori da evitare

Investire in piccole e medie imprese non quotate richiede estrema specializzazione. "Può sembrare scontato ricordarlo, ma per analizzare queste imprese non è sufficiente saper leggere un bilancio, mentre sono molto più critici le valutazioni del fattore umano, della tecnologia, della nicchia di mercato, della flessibilità e di altri intangibles: valori che non troviamo ordinati in uno stato patrimoniale". Quella alle porte grazie alla nuova normativa potrebbe configurarsi come una "innovazione estremamente rilevante, al pari della scoperta nella metà degli anni 80’ del mercato azionario italiano e l’ingresso delle azioni quotate nel portafoglio degli investitori/risparmiatori, che storicamente era composto prevalentemente di titoli di stato, BOT e CCT", dichiara l'esperto.

Fondamentale però evitare alcuni errori che potrebbero bloccare sul nascere tale rivoluzione che potrebbe portare ad una più netta relazione tra finanza e economia reale. Ecco quali sono i cinque aspetti centrali da considerare, secondo l'amministratore delegato di Riello Investimenti, nel momento in cui ci si avvicina ai PIR alternativi:

  • "Valutiamo i PIR alternativi come investimenti in economia reale, non come un contenitore fiscale. Le agevolazioni  fiscali sono spesso necessarie per sviluppare uniinnovazione e per spingere la propensione all’investimento, ma non possono sostituire la decisione di investire in aziende private e illiquide.
  • Gli investitori nei PIR alternativi devono essere adeguatamente patrimonializzati. Trattandosi di investimenti illiquidi, va allocata una quota residuale del patrimonio, ad esempio il 10%, importo che può essere lasciato a maturazione per un periodo medio lungo.
  • Di fondamentale importanza che le risorse raccolte vengano investite realmente in aziende private non quotate di piccola e media dimensione. Un’opportunità per investitori e aziende, ma deve essere effettiva. I PIR ordinari hanno investito le masse in gestione di 18,7 miliardi di euro, quasi totalmente in azioni e obbligazioni quotate sui mercati ufficiali, mentre solo 70 milioni ovvero lo 0,37% del totale, in azioni non quotate.
  • Per investire nell’economia reale non quotata, è opportuno riaffermarlo, occorre rivolgersi a specialisti, fondi di private equity, ELTIF, etc., meglio se italiani; non è tanto il veicolo ma è il team di gestione che fa la differenza. Gli operatori di private equity sono da sempre “allenati” a muoversi in contesti in rapido cambiamento, dovendo peraltro focalizzarsi sempre sulla creazione di valore in orizzonti temporali definiti. Non hanno benchmark, né altri alibi, ma sono focalizzati sullo sviluppo dell’investimento, ovvero dell’impresa, sull’apertura di nuovi mercati, sul miglioramento dell’efficienza ed in generale sulla valorizzazione dell’asset.
  • Valutare l'innalzamento della quota di investimento dai 150 mila euro anno ai 300 mila euro, proprio perché la fascia di risparmio interessato ad essere convogliato nell’economia reale è più ampia di quanto si pensi.