Un compleanno difficile per i fondi quotati

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A Piazza Affari si dicono soddisfatti. “Il bilancio è buono”, afferma Silvia Bosoni, responsabile listing ETFPlus di Borsa Italiana, “l’interesse continua ad essere vivo e sono sempre più le fund house che ci interpellano per avere informazioni relativamente a questo modello di mercato”. A tre anni dal lancio il patrimonio dei fondi quotati è cresciuto. Basta guardare i dati. Il segmento ha vissuto un concreto interesse testimoniato dalla raccolta: il patrimonio complessivo è salito dai 49 milioni di euro di fine 2015 (con 100 prodotti) ai 105 milioni di fine 2016 fino a raggiungere i 275 milioni a dicembre 2017. 

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Tuttavia il numero dei fondi non è cambiato granché. I dati parlano di 36 nuovi lanci nel 2016 e 20 nel 2017, ma alla fine della fiera, ad oggi, i prodotti sul segmento sono 124, gestiti da 29 società, delle quali quattro di diritto italiano. Poche le novità all’orizzonte, dunque, se non il lancio dei primi fondi PIR compliant, gestiti da tre diversi emittenti (AcomeA, New Millennium e Zenit), a partire dallo scorso maggio. “AcomeA è la prima SGR italiana ad aver offerto fondi comuni attraverso il canale di Borsa Italiana. E siamo stati anche i primi a farlo con i PIR”, dicono dalla società presieduta da Alberto Foà. “Tuttavia, a parer nostro rimane ancora molta strada da percorrere per avvicinare la clientela retail al mercato dei fondi quotati. Infatti, la stragrande maggioranza delle sottoscrizioni della nostra classe di fondi quotata (Q2) proviene da clienti istituzionali”.

Un mercato in potenza

Se da una parte Borsa Italiana nota come pian piano questo nuovo modello sia riconosciuto dai partecipanti dell’industria e assicura di star lavorando a iniziative con l’obiettivo di coinvolgere sempre più la comunità finanziaria, dall’altra parte è cosa nota che l’avvio del mercato non sia stato brillante, come spiega Sergio Martucci di Equita SIM, società guidata da Francesco Perilli, specializzata in consulenza finanziaria e intermediazione. “Il bilancio di questi tre anni non può essere definito positivo, visto l’enorme potenziale che questo mercato può offrire. Un potenziale che potrebbe essere molto più ampio se venissero meno le resistenze nel settore bancario”. Lo sanno bene in Pharus Sicav che, con 18 prodotti quotati, si piazzano primi in classifica su questo segmento di mercato. “La nostra esperienza è positiva da certi punti di vista e negativa su altri”, spiega il presidente Davide Pasquali. “Sicuramente la quotazione ha garantito di essere più visibili e nel corso degli ultimi tre anni le masse raccolte sono pari a circa 32 milioni di euro. D’altro canto l’aspetto negativo è che dopo tre anni ancora è difficile acquistare i fondi quotati. Molte banche e reti finanziarie non danno la possibilità alla propria clientela di acquistarli preferendo i canali di distribuzione tradizionale. Questo ha fatto sì che il segmento di mercato dei fondi quotati non venisse del tutto apprezzato e valorizzato. Siamo convinti che il fatto che molti istituti di credito non consentano di acquistare i comparti quotati sia un handicap per questo segmento. Noi non crediamo che i fondi quotati si debbano sostituire ai canali tradizionali e non siamo convinti che ‘l’acquisto fai da te’ sia la sola strada, siamo convinti però che siano un’alternativa in più per gli investitori e che non debba essere preclusa a priori”.

 

Difficoltà di accesso 

Nonostante le ottime premesse, basate su minori costi di gestione e semplificazione operativa, e quindi le interessanti prospettive, il mercato non si è dunque sviluppato. Anzi, dati alla mano, la tendenza recente ha visto addirittura l’uscita dal listino di alcuni prodotti. E per vari motivi, almeno secondo Andrea Pastorelli, amministratore delegato di 8a+ SGR, che su ETFPlus ha lanciato tre prodotti. 

“La difficoltà di accesso alla negoziazione che incontra l’investitore è probabilmente quella principale: gli intermediari che offrono la possibilità di negoziare i fondi quotati sono pochissimi. E da questi mancano le banche a più ampia diffusione territoriale”, afferma il manager. “In secondo luogo c’è un tema di scarsa disponibilità di adeguate informazioni sui prodotti presenti sulla piattaforma di Borsa Italiana. Ci si poteva aspettare che il lancio della quotazione dei fondi fosse accompagnato dall’offerta di servizi informativi che consentissero ai potenziali sottoscrittori di compiere scelte consapevoli e circostanziate, ma non risulta che ci siano servizi di questo genere facilmente accessibili. Nel contesto di scarsa preparazione finanziaria dei risparmiatori retail italiani, ciò complica ulteriormente la decisione dell’investitore individuale che voglia selezionare e investire in autonomia in fondi d’investimento”. 

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L’educazione finanziaria sta al centro anche delle critiche mosse da AcomeA: “Il risparmiatore italiano guarda ancora con eccessivo scetticismo l’occasione di recarsi in banca per chiedere informazioni sulla sottoscrizione dei fondi quotati”, e questo fa certamente la differenza. Per Marco Rosati, amministratore delegato di Zenit, il panorama è a dir poco avvilente. “Parliamoci chiaro: se gli intermediari che comprano e vendono in Borsa non entrano in questo mercato, non s’interfacciano e non consentono ai loro clienti di accedervi, questo segmento non decollerà mai”. Tanto più se, anche guardando alla clientela istituzionale, esiste un’enorme sproporzione tra la gamma di prodotti UCITs disponibili sulle piattaforme più diffuse e quella dei veicoli quotati. Ciò è un forte disincentivo a mettere a punto nuove procedure per negoziare i prodotti sulla piattaforma di Borsa Italiana.

MiFID II, una svolta?

Per gli esperti, insomma, c’è molto da lavorare. Eppure forse una svolta potrebbe arrivare grazie a MiFID II: “I fondi quotati potrebbero rappresentare una buona possibilità in tema di disclosure dei costi”, dicono da Pharus Sicav. Mentre in AcomeA si augurano che “l’investitore sarà messo nelle condizioni ideali per effettuare scelte più consapevoli in termini di prodotto e di ottenere maggiori vantaggi da un servizio di consulenza”. Anche Martucci, di Equita SIM, sostiene che MIFID II, con la sua maggiore attenzione ai costi finali per i risparmiatori, “darà una mano al settore, diminuendo gli ostacoli verso un’esecuzione diretta delle negoziazioni e portando ad una maggiore trasparenza nei prezzi pagati”. Tutto da vedere. 

L’aiuto auspicato, tuttavia, non è solo appannaggio della direttiva europea. “Uno slancio significativo potrebbe arrivare se qualche grande player nazionale e/o internazionale decidesse di quotare i suoi fondi sul mercato italiano, come canale complementare al collocamento tradizionale”, continua Sergio Martucci. “Solo così s’innescherebbe una sana competizione tra i due canali, portando ad un’offerta più variegata e completa nel comparto, un’ulteriore molla potrebbe venire dal web, attraverso l’ampliamento dei siti specializzati del settore che analizzano costi e performance di tutti i fondi tra loro comparabili”. 

Inoltre “il successo dei prodotti PIR compliant può di sicuro offrire un ulteriore stimolo per molti emittenti, ancora poco presenti in questo mercato, ad iniziare a quotare i loro prodotti PIR su questo segmento per raggiungere più facilmente una platea più ampia di investitori”. Staremo a vedere.