"I mercati nazionali tendono ad essere di dimensioni ridotte in Europa, pertanto una società tende a internazionalizzarsi abbastanza velocemente, con crescita organica o attraverso operazioni di M&A, come detto. Inoltre, se si guarda attentamente, troviamo società che hanno diretta esposizione a nicchie di crescita strutturale che, se ben gestite, con un business model di qualità e un buon management, riescono a diventare le large cap del domani, in Italia abbiamo tantissimi esempi di aziende partite da basse capitalizzazioni e poi diventate realtà industriali molto importanti" commenta Antonio Trabocchi, gestore azionario di Wellington Management, che aggiunge "Un rischio, quando si parla di small cap, è legato al timore di sottoperformare in periodi di sell off, che porta a cercare di fare timing, rischiando di perdere l’opportunità in una classe di investimento che storicamente fa molto meglio delle large cap. Se si guarda agli ultimi vent’anni, infatti, il rendimento a tasso annuo composto delle small cap è stato di quasi il 7%, rispetto al 2,5% circa delle società a larga capitalizzazione. E se guardiamo allo Sharpe Ratio, ossia aggiustato per il rischio, i risultati sono ancora migliori. Si tratta di un’asset class su cui bisogna essere investiti costantemente" prosegue il gestore, "e questo può essere un buon momento per entrare, però bisogna essere selettivi per via del gran numero di società, che vanno analizzate attentamente anche a causa del minor supporto da parte degli analisti, che coprono le small cap in maniera molto ridotta rispetto alle large cap. Noi ci focalizziamo su società dai 500 milioni ai 3-4 miliardi di capitalizzazione, e ne troviamo tantissime valide. Guardiamo a Italia, UK e paesi nordici, dove troviamo la maggiore imprenditorialità e capacità di crescita nel lungo periodo. Il contesto europeo attuale, che dopo la crisi finanziaria vede piani importanti di sviluppo a livello fiscale, di green economy e di digitalizzazione, inoltre, è favorevole all’asset class".
Secondo Trabocchi, qualità del management e posizionamento di leadership sono fattori molto importanti. "Noi cerchiamo sempre società che si distinguono per proprietà intellettuale e know-how, con caratteristiche che le rendono uniche rispetto alla concorrenza e che determinano quel pricing power che è stato molto importante come difesa dalla crescita inflazionistica e lo sarà ancora di più nel periodo di disinflazione in cui entreremo nel 2023. Le società che non hanno questo potere di pricing, infatti, corrono il rischio di veder scendere gli utili in maniera più rapida". Secono l'esperto, l’inflazione si ridurrà ma non sparirà "potrebbe attestarsi intorno al 3-4%, ma la disinflazione resterà comunque un fattore importante. I settori che preferiamo sono quelli in cui troviamo maggiore possibilità di innovazione e forza concorrenziale: tecnologia, healthcare e segmento medicale in generale, industriali (che includono sia i beni capitali sia i servizi professionali e di business che aiutano altre società, anche più grandi, a operare meglio) e infine il consumer, area in cui e’ molto difficile creare pricing power ma che nel settore ad esempio del lusso può dare buoni risultati. Bisogna essere selettivi e cercare innovazione".
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