Scongiurato il temutissimo “no deal” a gennaio 2021, quali sono state le conseguenze per gli investitori europei? Ne abbiamo discusso nell'ultima parte della tavola rotonda sui Country Funds.
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Scongiurato il temutissimo “no deal” dal primo gennaio 2021 è entrato in vigore l’accordo tra UE e UK, che non riguarda solo la compravendite di merci e servizi, bensì anche un'ampia gamma di altri settori di interesse dell'Unione, quali investimenti, concorrenza, aiuti di Stato, trasparenza fiscale, trasporti aerei e stradali, energia e sostenibilità, pesca, protezione dei dati e coordinamento in materia di sicurezza sociale. A sei mesi da quel deal, quale è stato l’impatto per i portafogli degli investitori? Ne abbiamo discusso nell’ultima parte della tavola rotonda sui Country funds con un gestore e due fund buyer.
Uno sguardo dall’interno del Regno Unito
Prima che l’accordo tra UK e UE fosse finalizzato, non erano mancate le complicazioni per alcune aziende inglese, tuttavia è ancora presto per misurare il vero impatto della Brexit sulle società del Regno Unito. “Al momento le prime conseguenze si vedono per le piccole aziende che devono fare i conti con una burocrazia ancora confusa, problema che è meno presente nelle large cap, che hanno le risorse e l'expertise per gestirla”, commenta Anthony Cross, portfolio manager di Liontrust.
“Io sono ottimista”, continua il gestore, “sono i politici a vedere le difficoltà, ma gli imprenditori europei e inglesi saranno in grado di superarle al meglio”. “Credo che Europa e Regno Unito continueranno a commercializzare come prima, ma al tempo stesso, molte aziende inglesi si proietteranno a livello globale, e saranno aperti nella ricerca di nuovi mercati”, spiega il gestore. "Inoltre i dati dimostrano che la Brexit ha creato un maggior spirito imprenditoriale nel Regno Unito”, sottolinea.
Secondo Cross gli investitori europei sono più preoccupati delle conseguenze della Brexit, rispetto a quanto lo siano gli inglesi. Inoltre c’è chi crede che la pandemia da Covid-19 abbia posto le basi per un nuovo periodo alla pari dei “Roaring 20’s” degli Stati Uniti, sebbene nel settore privato il debito sia aumentato. “Con i lockdown c’è stato un incremento dei risparmi che servirà a dare un grande impulso all’attività economica, e auspicabilmente supporterà quelle attività che hanno sofferto maggiormente”, afferma l’esperto. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che il Regno Unito avrà il più forte livello di crescita economica per le società industriali nel 2022 e le previsioni di uscita dalla pandemia sono positive, “ ma la nostra strategia non prevede di apportare modifiche al portafoglio in base agli indicatori economici”, conclude.
Brexit vs. fund selector
A seguito delle negoziazioni sulla Brexit negli ultimi 5 anni gradualmente si è provveduto a sostituire strategie presenti in veicoli domiciliati in UK con veicoli principalmente Lussemburghesi o Irlandesi; molti asset manager hanno replicato le strategie in veicoli diversi per dare la possibilità agli investitori continentali europei di rimanere investiti nelle soluzioni selezionate, senza dover gestire le complessità fiscali e di armonizzazioni derivanti dalla Brexit, ha fatto notare Jacopo Ciuffardi, fund selector di Fideuram AM SGR. “Da un punto di vista di posizionamento non è cambiato molto, considerando comunque che UK è incluso negli indici Pan-Europei utilizzati come benchmark per i nostri portafogli. Alla fine del 2020 alcuni nostri gestori hanno aumentato tatticamente per alcune settimane l’esposizione al Regno Unito grazie alle notizie positive sulla risoluzione della Brexit e alla velocità di somministrazione dei vaccini”, ha commentato il fund buyer.
Per Christophe Jaubert, chief investment officer e head of Research Multi-management di Mediolanum International Funds non è ancora certo il ruolo del Regno Unito rispetto all’Europa, pertanto questo non cambia le esposizioni in portafoglio nei confronti di questa area.