Secondo la IV edizione dell’Osservatorio Mefop sul settore, il 61% degli istituzionali detiene asset alternativi. Aumenta la spinta a sostenere l’economia reale e a coniugare alternativi e sostenibilità.
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Il 61% degli investitori istituzionali italiani detiene investimenti alternativi: un incremento evidente rispetto al 50% del 2020 e una conferma dell’importanza che tali asset ricoprono sugli investimenti di lungo periodo. Questo, anche in ottica da parte dell’istituzionale di “affiancare il sistema Paese quando il sistema Paese ne ha bisogno: ossia i cosiddetti investimenti in economia reale”. Luigi Ballanti, direttore generale di Mefop, nell’introdurre il seminario nel ciclo “Degustazioni di welfare” dedicato al tema, sottolinea alla platea come in anni recenti si sia anche aperto un dibattito “su come questa asset class si può coniugare con i temi della sostenibilità”. La comprensione di un fenomeno sempre più sotto la lente degli investitori istituzionali italiani è dunque, per il quarto anno di seguito, al centro dell’Osservatorio Mefop sugli investimenti alternativi degli operatori del welfare curato da Maria Dilorenzo e Antonello Motroni, Area economia e finanza di Mefop, e reso disponibile a FundsPeople.
In particolare, come riporta Motroni, la ricerca quest’anno ha toccato il numero massimo di partecipanti, andando a includere 112 entità per un patrimonio complessivo che sfiora i 234 miliardi e 200 milioni di euro. L’interesse per la tematica è evidente anche nei numeri, con 11 partecipanti in più rispetto all’edizione precedente, che nel dettaglio dei fondi pensione negoziali va a comprendere la totalità degli enti. Come sottolinea Motroni nel corso della presentazione della ricerca condotta tra settembre e dicembre 2023, il dato degli 11 punti percentuali in più nel numero di entità che dichiarano di detenere questi asset “ricalca, appunto, l’andamento del mercato nel settore dei fondi pensione. Tra i fondi sanitari l’interesse è limitato ma quello che rileva rispetto a questi soggetti è che non si tratta di mondi ‘incomunicanti’ perché anche in questo caso si registra un aumento di interesse (due entità in più rispetto al 2022)”.
Alternativi, perché “sì” e perché “no”
Un punto centrale dell’indagine ha riguardato l’approfondimento delle ragioni del no agli alternativi. Ebbene, emerge come l’esiguità del patrimonio disponibile sia la prima ragione addotta da quanti scelgono di non investire nella classe di attivi, segue, per i fondi negoziali, anche “l’illiquidità”. Nel caso dei fondi sanitari, continua l’esperto, “rilevano le specificità del settore, l’incoerenza degli investimenti alternativi, in questo caso fa il paio non soltanto con l’esiguità del patrimonio ma anche con il tema dell’adeguata diversificazione. Questo perché casse e fondi pensione hanno, presumibilmente, un modello organizzativo più strutturato rispetto a quello degli operatori della sanità integrativa”. I fondi sanitari sono anche gli enti in cui la percentuale di quanti valuteranno “eventuali opportunità future” sull’asset è inferiore: il 33%, contro una media del 52 per cento. Per contro sono anche i soggetti che, nella metà dei casi non soltanto non hanno mai effettuato questo tipo di investimenti ma “escludono di farlo in futuro”.
Le motivazioni alla base della scelta di investimento alternativo vanno a inquadrarsi, dunque, nella sola attività dei fondi pensione e delle casse, e in testa alle “ragioni del sì” si colloca la possibilità di una maggiore diversificazione (73%), seguita dalla coerenza con orizzonte temporale della politica d'investimento (51%) e dal premio per l’illiquidità (42%).
Portafoglio
La fotografia del portafoglio, rimarca ancora Motroni, riflette la natura differente delle entità che compongono il perimetro degli istituzionali: “Per le casse la quota più significativa è legata a fondi immobiliari, seguono a distanza private equity, private debt e infrastrutture” mentre nel caso dei fondi pensione “la ripartizione è più equilibrata”.

Focus strategico e sostenibilità
Altro elemento emerso dalla ricerca è collegato a quanto anticipato da Ballanti in apertura è quello legato all’apporto concreto “all’economia reale” e ai risvolti dell’investimento in termini ESG. Il 46% degli intervistati con alternativi in portafoglio ha individuato un “focus geografico” in queste classi di attivi, e “una delle scelte trainanti è, appunto, la possibilità di supportare il sistema Paese (totalità delle casse e 87% dei fondi pensione), con una percentuale elevata (39%) che si concentra anche sull’Unione europea”, afferma Dilorenzo nell’illustrare i risultati.
La sostenibilità, trainata da importanti passi avanti normativi nel settore finanziario, ha una sua centralità imprescindibile anche nel discorso degli asset alternativi. “Il 61% degli intervistati considera gli ESG nelle scelte di investimento – afferma l’esperta –. In particolare: l’investitore che considera la sostenibilità lo fa sempre più frequentemente su tutto il portafoglio”.
Un ulteriore focus ha riguardato poi le modalità di investimento in alternativi, “in questo caso influenzate dalle specificità di casse e fondi pensione, con le prime che possono investire in forma diretta mentre i fondi soltanto tramite mandato o l’acquisto di quote, fatta eccezione per i preesistenti ai quali è concesso, entro determinati vincoli, l’investimento diretto”, prosegue Dilorenzo.

La ricercatrice evidenzia rispetto alle precedenti indagini una crescita nelle percentuali dei fondi negoziali che investono su mandato, dato che “per questa tipologia di fondi significa investire in continuità con l’investimento tradizionale”. Altro strumento utile, in particolare ai fondi pensione, sono le attività consortili avviate negli ultimi anni. Il rimando va alle iniziative legate al Progetto Iride nel private equity, al progetto Zefiro nel private debt e al progetto Vesta nelle infrastrutture. “Senza dimenticare il progetto portato avanti congiuntamente da Assofondipensione e CDP per l’investimento in economia reale”.
Ultimo elemento che aiuta a comprendere l’interesse del settore per le asset class alternative è la redditività, “emerge una soddisfazione elevata”, conclude Dilorenzo, con il “72% degli intervistati che rileva una coerenza tra aspettative e realtà degli investimenti”. Permane un 28% che non ha espresso ancora soddisfazione sul punto, “ma questa percentuale è dovuta al fatto che l’investimento è stato avviato solo di recente e non ci sono dati sufficienti per un riscontro in tal senso”.