“Ritengo che la definizione mercati emergenti sia quanto mai eterogenea, e ospiti al suo interno paesi profondamente diversi” è l’osservazione di Mario Baronci, CAIA, head of Multi Asset di Quaestio Capital SGR, che sottolinea come, a suo avviso, i mercati emergenti si stiano avvicinando sempre di più ai paesi sviluppati per tutta una serie di dinamiche. “Ad esempio, un tempo si riteneva che sotto il cappello dei mercati emergenti si trovassero paesi caratterizzati da forte rischio politico o estrema volatilità. Il 6 gennaio 2021, però, abbiamo assistito all’assalto al Congresso degli Stati Uniti, la democrazia più importante dell’occidente. In Gran Bretagna, dopo la Brexit si sono succeduti cinque cambi di governo e a settembre 2022 la Boe è dovuta intervenire per salvare, letteralmente, il sistema pensionistico inglese causando un inusitato apprezzamento del benchmark Linker 2068 pari a 141% in due giorni. Ma ci sono altri aspetti per cui possiamo confrontare i paesi emergenti con i paesi sviluppati. Ad esempio”, prosegue “c’è una chiara simmetria tra dollaro e renminbi, che in un futuro, magari non prossimo, rivaleggeranno come riserva di valore, cosi come franco svizzero e dollaro di Singapore si contrappongono come safe haven. Per quanto riguarda il carry, i paesi sviluppati hanno la sterlina e il dollar block (Nuova Zelanda, Australia e Canada), gli emergenti hanno Brasile, Messico e Sudafrica, mentre lato funding, lo Yen si contrappone al Won sudcoreano. Vediamo una sorta di convergenza tra i due mondi, pur con le rispettive eterogeneità all’interno. La vera partita, nel prossimo decennio, si giocherà tra chi ha le commodity e chi no, e al momento gli emergenti sono decisamente favoriti” conclude.
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