Astolfi (Capital Group): “In Italia l’obiettivo è riaffermare la nostra serietà, la dimensione del business e l’analisi fondamentale”

Matteo Astolfi, Capital Group
Matteo Astolfi. Foto concessa (Capital Group)

L'Italia è uno dei dodici mercati internazionali in cui Capital Group è presente e il Paese rappresenta un tassello chiave per la società. “E, di questi dodici, potremmo dire di essere per importanza nei primi tre o quattro mercati, quindi sicuramente ricopriamo un ruolo di primissimo piano”, spiega Matteo Astolfi, head of Client Group di Capital Group

A livello di trend, nella prima parte del 2023, ce ne sono due in particolare che il professionista sottolinea, in questa intervista rilasciata a FundsPeople. Da una parte la sostenibilità e dall’altra il tema delle dimensioni del business. Nel primo caso Astolfi fa riferimento al tema del downgrade dei fondi da articolo 9 ad articolo 8 dell’SFDR. “Questo è un fenomeno interessante e preoccupante allo stesso tempo. Se da una parte denota molto interesse nell’ambito della sostenibilità, dall’altro è possibile evidenziare troppa superficialità da parte degli asset manager nell’affrontare questo fenomeno”, commenta.

In questo ambito, Capital Group si è mossa in maniera contraria: di 30 fondi registrati in Italia, 27 sono ancora articolo 6, e tre sono stati fatti passare ad articolo 8. Si potrebbe dire che, finalmente, dopo un “primo effetto di iniziale moda è arrivato il momento di fare sul serio”.

Portafogli core attivi

In Italia, nell’universo degli investimenti e non solo in fatto di sostenibilità, spesso inseguire la moda può rivelarsi pericoloso. “Nel nostro ambito mi riferisco a fondi tematici, fondi settoriali, fondi sostenibili, fondi di nicchia, fondi dimensionalmente piccoli. In questi ultimi anni abbiamo visto scoppiare qualche bolla”, dice Astolfi. L’obiettivo di Capital Group è quello di farsi conoscere in maniera sempre più approfondita, “disponiamo di pochi fondi, molto grandi e questo fa parte del nostro DNA americano, attivo. In novant'anni di storia non abbiamo mai dovuto fare soft closure di un fondo, o unire un fondo ad un altro perché qualcosa non funzionava. Ad esempio, per lanciare un nuovo fondo ci mettiamo degli anni ed è un processo lento”, aggiunge.

Un altro obiettivo che Astolfi si prefigge nel Paese, in particolar modo con i fund selector è quello di “riaffermare la nostra serietà, le dimensioni del nostro business e l’analisi fondamentale, avendo portafogli molto diversificati, non abbiamo nessun fondo concentrato, nessuno strumento infatti è in mano a un solo gestore ma è sempre cogestito”. Questa è una fase in cui, secondo l’esperto, a livello di portafoglio, si andrà a riscoprire la costruzione fatta di una componente core e satellite, e, “il nostro posizionamento è chiaramente sulla parte core attiva”.

Italia, un mercato attrattivo

Il mercato italiano è ancora molto attraente e questo è un dato di fatto. Secondo Astolfi questo risulta interessante per tanti player esteri ancora non presenti in Italia, proprio perché il risparmio delle famiglie rappresenta una vera e propria ricchezza. “Mi sento però di dire che per le reti di distribuzione, aggiungere continuamente nuove case porta valore aggiunto vicino allo zero.  E abbiamo visto, non più di due mesi fa, grandi player distributori italiani tagliare alcune case in distribuzione alla carta. Se fino a dieci anni fa l'architettura si stava aprendo e si andava sempre verso una maggiore diversificazione, oggi certamente il trend è contrario, piuttosto di restringimento”, commenta.

Astolfi ricorda come le principali reti si stanno facendo via via sempre più selettive e “noi di Capital Group dovremmo avere un discreto vantaggio dal punto di vista delle dimensioni, infatti i primi dieci player al mondo, potrebbero o dovrebbero essere considerati. Anche in questo caso l’approccio core-satellite ci vedrà protagonisti nel primo caso”.

Mercati, obbligazioni al centro

Bonds are back è una formula che funziona anche per Capital Group. L’anno scorso ci sono stati tre fattori fondamentali: sono saliti i tassi, velocemente e da un livello zero. “Non c'era un cuscinetto di protezione, non c'era un rendimento a scadenza che potesse proteggere nel duemila ventidue. Ed è anche per questo che tutto è andato male nel 2022. Ma nel 2023 i tassi possono ancora salire e potranno farlo velocemente, ma non si parte più da un livello vicino allo zero”, sottolinea.

Guardando al mercato obbligazionario a detta di Astolfi si può scegliere di avere un po' più rischio tasso e meno rischio credito stando sull’investment grade, se la view è quella di una recessione in arrivo pesante, profonda e duratura. Oppure, sempre secondo l’esperto,si potrebbe rischiare un po' di più e quindi andare su minor rischio tasso e più rischio credito puntando su high yield ed emergenti e questo lo si farebbe qualora si pensasse che la recessione non sia troppo profonda e non troppo prolungata.

Il professionista cita un fondo flessibile obbligazionario di Capital Group. “Si tratta di uno strumento che ha quattro anni di storia degli Stati Uniti e ha raccolto 10 miliardi di dollari. È un fondo che fa essenzialmente due cose alternativamente: rischio credito, bassa duration, parte HY ed emergenti, più rischio tasso e meno rischio credito, quindi più IG, più duration”, commenta.

Uno sguardo anche all’universo azionario. Come noto, questo si muove in anticipo rispetto all’economia reale e se questa dovesse ripartire a fine anno, secondo Astolfi, l’azionario potrebbe andar bene da metà 2023. L’esperto sottolinea inoltre l’importanza di dividendi alti e crescenti di alcune aziende alle quali bisogna guardare con attenzione. “Lo scenario è cambiato, veniamo da dieci anni di equity concentrato (con i titoli FAANG), da ora in avanti la leadership non sarà più concentrata e quindi la selezione settoriale, geografica sarà fondamentale”, dice.

Mercato istituzionale

Nell’ambito della clientela istituzionale, e quindi fondi pensione, casse di previdenza e fondazioni, il professionista di Capital Group registra ancora un forte appetito per i mercati privati che “dal mio punto di vista non so quanto sia effettivamente ben pesato e anche in questo ambito vedo una tendenza a seguire la moda nella ricerca di private equity e private debt”. Gli attori istituzionali usano sempre più passivi low cost, per i tre quarti del portafoglio; per un quarto, invece, si avvalgono di fondi attivi, “compresi anche alcuni dei nostri prodotti, con l’obiettivo di dare del valore aggiunto. Le asset class preferite sono tipicamente il credito nella parte bond e i mercati meno sviluppati nella parte equity”, conclude Astolfi.