Big data: un'innovazione necessaria per l'asset management

La gestione del rischio è il campo in cui si estrinseca il potenziale dei big data. È il parere di Carlo Vedani, ad di Alicanto Capital Sgr, secondo cui le strategie quantitative usano tipologie di dati che sono sempre stati incorporati nelle analisi per le decisioni d’investimento, ma che oggi arrivano in maniera più efficace e precisa. “Il problema è che i dati sono sempre un’estrapolazione del passato. Non posso basarmi solo su di essi, sarebbe come guidare guardando sempre nello specchietto retrovisore”. I big data, quindi, potenziano e velocizzano lo screening iniziale, e offrono tutta una serie di filtri che aiutano il gestore anche nella selezione degli asset. “Ma la competenza umana prevale sempre nella scelta finale”, afferma Vedani. “I grandi set di dati aiutano molto nella gestione del rischio, molto più che non sulla singola decisione d’investimento che è invece l’atto strategico successivo”. Il tema dell’efficienza è meno convincente, perché presenta un rovescio della medaglia: l’elevato investimento necessario non solo per elaborare i dati a valle, ma addirittura per avervi accesso a monte. “Chi possiede grandi data set, oggi, ha in mano una vera e propria miniera d’oro. I big data sono venduti a carissimo prezzo, anche soltanto per accedere a un benchmark”, osserva in conclusione l’ad di Alicanto Capital.

Di cosa parliamo quando parliamo di big data? Se per l’analisi tradizionale e le metriche di bilancio le definizioni sono standard, il quadro diviene molto più eterogeneo quando si tratta delle metodologie che esaminano grandi set di dati. “Algoritmi, intelligenza artificiale, database: ci troviamo di fronte a una eterogeneità di situazioni. Con i big data, ogni società fa a modo proprio”, afferma Riccardo Cavallero, responsabile Investment advisory di Banca del Piemonte. Questa numerosità può creare un vero e proprio effetto black box. “I gestori sviluppano tecniche ad hoc di selezione e investimento tramite big data: sono metodologie molto efficienti, ma di fatto è impossibile, o molto difficile, sapere cosa ci sia all’interno”, ribadisce Cavallero. Il punto di vista di Cavallero si riferisce espressamente alla sua attività di fund selector. Nella quale, comunque, l’aspetto quantitativo non può mancare. “Sull’azionario globale - spiega il responsabile -, che è un’asset class dove il numero di strategie è elevato, l’utilizzo di big data è imprescindibile. Mi sembra evidente che avere un layer quantitativo faciliti la gestione dei rischi, evitando i bias e gli errori propri della finanza comportamentale”. Secondo Cavallero, un altro fattore da non sottovalutare è la pura e semplice efficienza: “Le nuove tecnologie di analisi quantitativa permettono di analizzare dati in tempi velocissimi, liberando risorse per svolgere attività diverse”. E questo significa che permettono di risparmiare sui costi. E le performance? “Sulla loro prevedibilità non mi sbilancio. Vedremo dove ci porteranno le nuove applicazioni sui big data”, conclude il manager.

Goldman Sachs ha due diverse piattaforme: una azionaria fondamentale, basata su un tradizionale approccio bottom up, e una di strategie quantitative. Negli ultimi 40 anni, ovviamente, le tecnologie si sono evolute, e così l’approccio quant della casa di gestione: “Non ci limitiamo più a usare dati di bilancio, che possono essere categorizzati in modo relativamente semplice anche con gli approcci tradizionali, ma abbiamo una delle piattaforme più all’avanguardia in assoluto per analizzare informazioni non strutturate: trascrizione e audio delle conference call sugli utili, articoli di stampa, report di ricerca degli analisti, depositi di brevetti e molto altro”, commenta Manuel Colombo, executive director, Goldman Sachs Asset Management. Goldman Sachs investe in modo consistente in tecnologia all’interno dell’azienda, inclusi gli investimenti nei dati. “L’ambizione del team Quantitative Investment Strategies (QIS) è quella di avere più informazioni a disposizione rispetto agli altri gestori e usarle per osservare meglio e agire più velocemente”, dichiara Colombo. La piattaforma quantitativa di Goldman Sachs comprende strategie con focus globale, europeo, sugli Stati Uniti, sui mercati emergenti o sulle small cap, e offre a Goldman Sachs la possibilità di creare soluzioni ad hoc per i clienti, riducendo ad esempio il tracking error, rimuovendo Paesi e settori, aumentando l’alpha atteso a seconda del mandato e delle linee guida di gestione.

Nel contesto attuale, in cui la connessione tra mercati finanziari, economia globale, fattori geopolitici e tecnologici è sempre più stretta e complessa, gestori e fund selector sono alle prese con un problema di non facile soluzione: analizzare una grande quantità di dati non solo finanziari. “La nostra percezione è che i big data possano rappresentare uno strumento utile in termini di gestione del rischio, permettendo di identificarne i fattori meno tradizionali”, dichiara Giulio Casuccio, responsabile Investimenti tradizionali, Fondaco SGR. “Per quanto riguarda le gestioni azionarie non abbiamo avuto esperienza diretta con gestori che applicassero big data in senso stretto. Approcci quantitativi sì, ma più tradizionali. Dove abbiamo invece un riscontro positivo è in un ambito differente, quello dei fondi hedge, dove lavoriamo con alcuni gestori all’avanguardia. Qui vediamo un incremento degli investimenti per l’acquisto di banche dati alternative, ma anche per attrarre talenti con un background diverso da quello finanziario, in grado di capire e gestire i big data”. Secondo Casuccio, “la differenza di valore nel mondo alternative c’è e l’abbiamo già toccata con mano. È molto probabile che si possa traslare e replicare anche nell’universo delle strategie tradizionali”.