Certificates: che uso ne fanno i team d’investimento in Italia

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Negli ultimi anni è aumentato l’uso di questi strumenti, che replicano gli asset sottostanti, più in ambito amministrato rispetto al gestito.

All’interno delle gestioni l’impiego dei certificati rimane ancora limitato per ragioni di liquidità e di trasparenza. “Preferiamo utilizzare direttamente i derivati ed implementare mediante questi ultimi strategie con pay-off complessi”, spiega Francesco Margonari, fund selector di Mediobanca SGR. “Nel mondo del risparmio amministrato invece, dove il turnover di portafoglio è più basso ed il buy&hold viene valutato come una logica di investimento interessante, l’utilizzo dei certificati è più diffuso”.

Questi ultimi permettono infatti di investire in asset class difficilmente accessibili ai clienti privati e, allo stesso tempo, di realizzare payoff non replicabili direttamente dal cliente finale, fornendo diversificazione agli investimenti. “E’ importante tenere presente inoltre che il certificato ha un profilo fiscale più efficiente rispetto ai fondi comuni consentendo, ad esempio, di ottimizzazione un portafoglio investito in soli OICR anche da questo punto di vista”, ricorda Margonari.

Anche Gianluca Filippi, responsabile ufficio Commerciale Finanza e Bancassicurazione di Cassa Centrale Banca ci spiega che non fa uso di certificati nelle gestioni patrimoniali. “Nell’ambito della clientela retail attraverso la rete del Gruppo Bancario siamo attivi dal 2007 con alcuni tra i principali emittenti su scala nazionale e internazionale, come Banca Imi, Dz Bank, Banca Akros e prossimamente l’offerta si allargherà. In 11 anni abbiamo collocato 250 Isin con un rendimento medio superiore al 5%”, spiega Filippi. “Le principali tipologie collocate riferiscono a prodotti a capitale protetto e capitale condizionatamente protetto. In questo momento stiamo collocando un prodotto a capitale protetto con sottostante il FTSE MIB, durata di 5 anni con una cedola potenziale del 3.55% all’anno”.

Banca di San Marino fa uso, per quanto riguarda i portafogli in advisory, dei certificati in due modalità:

  • nella parte satellite di portafoglio per avere accesso a strategie e soluzioni di investimento con payoff interessanti e difficilmente ottenibili tramite la combinazione di investimenti tradizionali;
  • per l’ottimizzazione fiscale dei portafogli.

“Utilizziamo da diversi anni certificati di investimento, sia quelli già preconfezionati sia soluzioni che chiediamo di strutturare appositamente per soddisfare eventuali esigenze particolari, con particolare interesse per soluzioni a capitale protetto o condizionatamente protetto”, spiega Denis Manzi, responsabile ufficio investimenti di Banca San Marino. “Una cosa su cui ci concentriamo sempre sono i costi impliciti nel certificate. In tal senso , cerchiamo sempre di scomporre il certificato nelle sue diverse componenti e di norma, se valutiamo che i costi impliciti siano eccessivamente alti evitiamo di inserirlo nei portafogli”.

C’è chi li usa anche nelle gestioni patrimoniali….

Negli ultimi anni Credit Suisse Italy ha iniziato ad utilizzare certificati all’interno delle gestioni patrimoniali per migliorare l’efficienza nell’implementazione delle idee di investimento. “Utilizziamo infatti certificati principalmente per avere accesso a strutture di payoff altrimenti non replicabili in portafogli che per dimensioni ridotte o limiti specifici non potrebbero usare derivati in maniera efficace”, spiega Giuseppe Patara, fund selector di Credit Suisse Italia. “Ad esempio, riteniamo i certificati molti efficaci per effettuare coperture da rischi come quello di movimenti estremi sui mercati azionari o improvvisi aumenti della volatilità. In generale, il loro utilizzo tende a stabilizzare i nostri risultati complessivi, specialmente nei periodi più negativi”.

….e chi non li utilizza affatto

Mirco Bongiovanni, responsabile gestioni patrimoniali di Cassa di Risparmio di Cento ci spiega che non ha mai condotto specifici approfondimenti sul tema liquidità-liquidabilità dei certificati, ma da questo punto di vista, in termini di profondità dei book di negoziazione e di spread denaro-lettera, ci potrebbero essere delle criticità operando con volumi di una certa entità”.

Anche Emanuele Bonabello, responsabile del dipartimento direzione investimenti e relazioni istituzionali di Banca Finnat non fa uso di certificati. “Nell’interesse della nostra clientela preferiamo prendere posizione su strumenti liquidi (con più di un price provider) e senza costi di strutturazione”, conclude.