Criptovalute: rischi di truffe sempre più contenuti

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Eliézer Ndinga, immagine concessa (21Shares)

Nell’ultimo decennio, il mercato delle criptovalute è cresciuto enormemente, con il Bitcoin, il più capitalizzato degli asset digitali, che in questi anni è risultato spesso tra gli asset più performanti. Tuttavia l’alta volatilità che contraddistingue questa classe di attività, unita con le prospettive di guadagni potenziali molto elevati e con la crittografia che permette di occultare le transazioni, hanno portato molti investitori ad essere diffidenti verso le valute virtuali, associandole a tentativi di truffa o ad altri crimini su scala più o meno vasta, come il riciclaggio di denaro o il traffico di armi. Tuttavia, secondo Eliézer Ndinga, director of Research di 21Shares, sebbene per onestà intellettuale non si possa affermare che questi timori siano totalmente basati su falsità, per l’esperto rappresentano comunque un problema molto più contenuto di quanto si pensi.

Ndinga cita una ricerca condotta con Chainalysis, una società americana di analisi blockchain, secondo la quale nel 2022 soltanto lo 0,3% del volume totale delle criptovalute è collegato ad attività illecite. “Per i meno avvezzi al settore, questo dato potrebbe risultare sorprendente, ma, in realtà, non le è affatto, in quanto Bitcoin, Ethereum e la maggior parte dei cripto asset si basano su tecnologie blockchain, che permettono di tracciare ogni singola transazione avvenuta sul network, con un’accuratezza che è inarrivabile anche per la finanza tradizionale”, spiega l’esperto. “A questa osservazione, si potrebbe rispondere dicendo che nel 2022 il volume di illecito connesso alle criptovalute ha toccato il suo massimo storico, pari a 20,6 miliardi di dollari”, continua. “Ciononostante, osservando il grafico sottostante, si evince come questa quota nominale sia cresciuta ad un tasso aggregato medio annuo (CAGR) del 320,4%, che, per quanto possa sembrare grande, è molto minore del 9.000% annuo dell’intero mercato delle criptovalute”, dice Ndinga.

Un altro dato chiave che traspare dal grafico è che il 43% circa di questi 20,6 miliardi proviene da attività associate a enti sanzionati, con solo lo 0,24% del volume associato a transazioni illegali. “In conclusione, quello che si deduce è che le forze dell’ordine stanno diventando sempre più efficaci nel rintracciare illeciti e a punirli, grazie proprio alla trasparenza della blockchain”, dice l’esperto.  

Il problema dell’eccessiva trasparenza

Al contrario di quanto ci si possa immaginare, secondo Ndinga, uno dei maggiori ostacoli per la tecnologia blockchain nell’attrarre nuovi investitori istituzionali, magari da lungo attivi nella finanza tradizionale, non è la crittografia, ma la sua eccessiva trasparenza. “Infatti, spesso si sono sollevati problemi di privacy e di sorveglianza per gli utenti, con società aventi risorse on-chain che hanno subito attacchi di front-running da parte di malintenzionati o coordinamenti per impedire la liquidazione di una determinata posizione”, dice l’esperto di 21Shares che aggiunge: “Sviluppare protocolli che migliorino la privacy degli utenti, senza però contravvenire alla normativa vigente, è una delle più grandi sfide che attualmente il mondo cripto si trova ad affrontare; tuttavia, sono già molti i player di settori che hanno lanciato o sono in procinto di lanciare soluzioni attuabili”, sottolinea.

“L’esempio più importante ce lo ha fornito Aztec, che ha sviluppato il suo 'hybrid zk-rollup', il quale permette agli utenti di proteggere dati e attività on-chain con un anonimato programmabile, eseguendo smart-contract privati”, conclude.