Criteri ESG fondamentali per investire nei mercati emergenti

Alessandro Ciaccio, junior portfolio manager di Sella SGR, pensa che “sia molto difficile monitorare e misurare gli aspetti ESG nei mercati emergenti”. Tuttavia, l’esperto ritiene che “le aziende con un forte profilo di sostenibilità possano generare delle migliori performance finanziarie nel lungo periodo, più che nei mercati sviluppati”. Per quanto riguarda i singoli criteri, il manager sottolinea come la E, ossia l’ambiente, “sia importante dal momento che ci permette di investire in alcuni megatrend, come ad esempio in imprese che forniscono soluzioni per la transizione energetica”. Ma è l’aspetto di governance che sembra essere ancora più rilevante e, dal momento che i mercati emergenti sono meno efficienti di quelli sviluppati, esso può determinare per le aziende con buona governance importanti vantaggi competitivi.

Alessandro Greppi, unit linked and pension funds portfolio manager di Zurich Investments Life, torna sul tema della governance, indicando questa variabile come la più “facile” da gestire e sviluppare nel breve periodo perché è anche “più semplice vedere i risultati”. Il riferimento, in questo caso, è in termini di remunerazione degli azionisti. L’esperto spiega appunto che “se si migliorano alcuni processi a livello di governance”, si vede “la creazione di valore direttamente sul mercato”. Quando si guarda invece agli altri due fattori (ambientale e sociale), Greppi si rende conto che “si tratta ancora di un lavoro in corso”. In ogni caso, per il portfolio manager, i Paesi emergenti stanno capendo che se iniziano ad applicare tutti questi principi, sarà più facile per loro ottenere capitali anche dai mercati sviluppati.

Andrea Daffara, senior fund selector di Banca Patrimoni Sella & C. dichiara che il gruppo vuole investire nei Paesi emergenti “con una prospettiva di lungo termine” e per abbracciare questo approccio è da tempo impegnato a rafforzare i processi di investimento “integrando l'analisi ESG al fine di intraprendere un sentiero sostenibile di redditività e crescita”. Naturalmente, a livello di singolo Paese, prosegue l’esperto, alcuni “sono più attivi nel miglioramento di alcune metriche, mentre sono ritardatari in altre. Ad esempio, la Cina si è impegnata molto nell'installazione di nuove capacità solari ed eoliche, il che ha consentito di ridurre le emissioni nocive e mitigare l’impatto climatico e ambientale, ma è anche in drammatico ritardo nell’affrontare le problematiche sociali”. Così, aggiunge Daffara, “possiamo comprendere meglio non solo le criticità ESG di ciascun Paese ma anche come la gestione di queste possa andare a impattare sui fondamentali e sulle valutazioni di singoli settori o business. E, in secondo luogo, tramite l’engagement dei gestori delle soluzioni che selezioniamo, possiamo condurre un approccio proattivo nei confronti delle società e investire per il miglioramento prospettico del loro profilo e scoring ESG”.

Per effettuare investimenti di lungo termine nei mercati emergenti, bisogna necessariamente tenere in considerazione gli ESG, che stanno assumendo sempre più importanza con il passare del tempo.  Carlo De Luca, head of asset management di Gamma Capital Markets, evidenzia che il campo ESG attrae capitali, ma se da un lato l’esperto riconosce chiaramente che gli ESG sono dei criteri molto importanti “da seguire per gli investimenti”, dall’altro fa notare che si lavora “ancora al buio”. Certo, afferma, “ci sono alcuni punteggi, ma a mio parere l’approccio non è scientifico perché non c'è un criterio univoco”.

Nella maggior parte delle opinioni, tuttavia, gli ESG rappresentano un aspetto fondamentale dell’asset allocation. In tale contesto, per Matteo Campi, responsabile ufficio investimenti multimanager e alternative di Arca Fondi SGR, bisognerebbe cambiare un po’ la mentalità “sul modo in cui selezioniamo le aziende nello spazio ESG. Perché un approccio che si è consolidato nel tempo, è quello di non investire se un'impresa ha criticità in ambito ESG. In tal senso si escludono dagli investimenti le società che hanno più bisogno di migliorare. E, soprattutto nei mercati emergenti, è necessario ottimizzare ulteriormente questo approccio. Bisogna premiare anche quelle che stanno migliorando, non solo le imprese che sono in settori o aree già ESG compliant”.

Juliana Hansveden, portfolio manager, emerging markets sustainable equity di Ninety One, nel processo di investimento sostenibile sui mercati emergenti parte da un approccio bottom up, spiegando che “si seleziona ogni singolo nome, con un iniziale screening quantitativo per restringere il campo da 21 mila a 2 mila nomi”. Ebbene, rimarca l’esperta che gestisce un comparto art. 8 SFDR, “quei 2 mila nomi sono il nostro universo investibile” e da qui deriva una lista ancora più ridotta di “100 nomi con il maggior potenziale. Li inseriamo nella nostra lista e poi, insieme al team di analisi, stabiliamo le priorità su cui lavorare”. Obiettivo? Un orizzonte temporale di almeno cinque anni e un basso turnover nella strategia. “Abbiamo modo di comprendere a fondo le nostre società, perché vogliamo possederle più a lungo, e abbiamo anche il tempo di impegnarci con loro nel lungo periodo. Ciò significa che non dobbiamo dipendere dai punteggi dei fornitori ESG esterni. Ma il lavoro viene svolto all'interno del team e lo stesso analista si occupa di tutti gli aspetti della ricerca”, conclude Hansveden.