Donne e risparmio gestito. Un cronico gender gap

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Foto di Molly Belle, Unsplash

Non è un Paese per donne. Il divario di genere, tornato in auge anche nel recente discorso del nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi, continua ad essere una questione seria. Di certo italiana, laddove il gender employment gap resta tra i più alti in Europa: 18,2 punti rispetto ai 10 di media. A far peggio, per intenderci, c’è solo Malta. Il Covid 19, poi ha sparigliato le carte. Tra smart working, figli in Dad, anziani da accudire, dei 444 mila posti bruciati in Italia, come dice l’Istat, 312 mila appartenevano a donne. Solo lo scorso dicembre, 99 su 101 mila. L’occupazione femminile retrocede di quattro anni. Un grave passo indietro.

Donne gestori: in Italia solo il 19 per cento

All’emergenza pandemica, però, fa il paio un gender gap cronico. Anche e soprattutto nel mondo della finanza. Se n’è parlato, per esempio, alla Morningstar Investment Conference dello scorso novembre. In tema di donne, il settore del risparmio gestito è fermo a vent’anni fa: nel 2019, secondo lo studio della società di analisi, la quota di gestori donne nel mondo era del 14%, esattamente come nel 2000. I grandi hub finanziari stanno sotto la media globale, inclusi Stati Uniti (11%) e Gran Bretagna (13%). In alcuni mercati troviamo risultati più incoraggianti ma si stima comunque che appena l’1% del patrimonio globale sia in mani femminili. In Italia, la quota di donne gestori sarebbe del 19%. Numeri che possono contarsi sulle dita. Nel numero di marzo di FundsPeople (in uscita a giorni) abbiamo cercato di capirci di più: quanti sono i gestori donna e quante donne siedono nel CdA delle SGR italiane? La ricerca è stata ardua.

Citando Draghi, “una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi”. Eppure, come spiega Cinzia Tagliabue, amministratore delegato (tra le poche) di Amundi SGR, vicepresidente e presidente del Comitato Diversity di Assogestioni, le quote rosa hanno avuto (ed hanno) una loro funzione ben precisa. “La scelta di avere delle donne nei board delle SGR dovrebbe essere naturale. Purtroppo non lo è. Per questo la legge Mosca, nata dieci anni fa, ha una sua valenza: col senno di poi, se non ci fosse stata quest’obbligatorietà, avremmo molta meno presenza femminile nei CdA”. Le quote rose, quindi, hanno aperto una via che va mantenuta, se non allargata. Ma non bastano. E forse andrebbero superate.

L'articolo integrale sarà disponibile al link della rivista digitale di marzo.