A marzo alcuni ETF sul segmento high yield hanno scambiato con uno sconto del 6% rispetto al NAV. È un sintomo di debolezza del prodotto o c'è altro dietro? Se ne discute nella seconda parte della tavola rotonda virtuale organizzata da FundsPeople.
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Marzo 2020 sarà ricordato per il forte shock di liquidità su alcuni mercati, soprattutto obbligazionari. Questo contesto ha costretto molti ETF, che replicavano indici fixed income, a tradare con forti sconti rispetto ai NAV. Allo stesso tempo i relativi fondi indicizzati hanno subito un allargamento degli swing factors, in risposta a tali tensioni. Probabilmente si può considerare la prima vera crisi che strumenti, relativamente giovani, come gli ETF hanno dovuto affrontare, a tal punto che sono subentrati dei dubbi spontanei: è stato un episodio sintomo di una difficoltà intrinseca nei prodotti indicizzati, o ha messo in luce potenzialità di price discoverer? È stato l’oggetto di discussione della tavola rotonda organizzata da FundsPeople con alcuni fund selector e una casa prodotto.
“Abbiamo assistito ad uno sconto di circa il 6% rispetto ai NAV degli ETF sul segmento high yield, che si è protratto per diversi giorni nel mese di marzo. Tuttavia noi riteniamo che sia stato il riflesso delle condizioni di liquidità di quel momento”, dichiara Anna Paola Marchi, responsabile della clientela wholesales di Credit Suisse AM. È una sorta di distressed bid, cioè di prezzo più veritiero rispetto al NAV dello strumento stesso”, aggiunge l’esperta. D’altro canto, se gli authorized participants, che hanno il compito di equilibrare il mercato, non l’hanno fatto, probabilmente vuol dire che non credevano nell’effettivo valore di realizzo a quei prezzi.
“Anche i fondi indicizzati, sebbene per loro natura non abbiano liquidità intraday, hanno registrato un allargamento degli swing factor, a conferma del contesto di mercato di quei giorni”, continua. Inoltre Emanuele Bellingeri, responsabile Asset Management Italia di Credit Suisse sottolinea che i prezzi a cui operano i market maker sui mercati obbligazionari sono teorici, infatti solamente nel momento in cui questi devono fare la redemption o creation dell’ETF, acquistano o vendono bond sul mercato, e proprio in tal senso che lo strumento passivo opera come price discoverer, perché rispecchia effettivamente la liquidità presente sul mercato.
Giorgio Bensa, fund selector di Ersel Asset Management SGR, conferma infatti tale circostanza. “Anche noi abbiamo notato che in quei giorni i prezzi per effettuare acquisti/vendite di obbligazioni differissero da quelli presentati dai data provider”, commenta. “Bisogna, quindi, porre particolare attenzione all’utilizzo che si vuole fare di ciascuno strumento. Sicuramente gli ETF, con le loro caratteristiche di negoziabilità continua, si prestano al meglio per essere inseriti nella parte tattica del portafoglio, ma occorre scegliere con cura il mercato di riferimento. Nell’azionario, per esempio, le quotazioni sono state più realistiche, nel caso dell’obbligazionario si rischiava di trovarsi in portafoglio uno strumento meno efficace”, aggiunge.
Se si considera che il mercato investment grade americano dalla crisi del 2008 sia cresciuto del 43% come size, invece la capacità di fare inventory da parte dei dealer è diminuita del 6%, si dimostra come la liquidità reale del mercato creditizio porti a modalità di pricing differenti. “Gli authorized participants non riescono più a fare arbitraggio sul mercato perché c’è ormai una cronica e strutturale scarsità di liquidità in alcuni segmenti, favorita dai regolatori che hanno imposto ai desk delle banche di investimento di ridurre lo storage. Per questo l’ETF diventa inevitabilmente un price discoverer”, ribadisce Luigi Sottile, head of Discretionary portfolio management di Deutsche Bank WM.
Conoscere le peculiarità di ogni mercato e le esigenze dei singoli portafogli in cui è inserito ciascun prodotto, consente di minimizzare l’impatto di questa tipologia di turbolenze. “Negli ETF obbligazionari, in particolare per quelli che investono nella parte più bassa del rischio di credito societario, c’è un elemento contraddittorio che li contraddistingue, cioè il fatto di voler rendere liquido qualcosa che per sua natura non necessariamente lo è, introducendo pertanto elementi distorsivi all’attività di bilanciamento del portafoglio”, commenta Luca Vaiani, responsabile Investment Strategy di Fideuram Investimenti SGR. “È importante quindi esserne consapevoli e sapere come trattare il prodotto, per non avere l’illusione di una liquidità che non potrebbe non esserci ”.
Anche per Lorenzo Campori, fund selector della struttura gestioni patrimoniali di Banca Aletti, la consapevolezza degli strumenti finanziari utilizzati è un punto importante. “Non c’è stata particolare sorpresa nei comportamenti, se non per la magnitudine del fenomeno”, sostiene il gestore. “La scelta di uno strumento è strettamente correlata al suo grado di elasticità in tutte le fasi di mercato”, aggiunge. Alla luce di ciò, la straordinarietà dell’evento è più che altro legata all’intervento delle Sicav sugli swing factor, manifestazione chiara di una necessità di adeguamento istantaneo alle condizioni di mercato.
I fund selector non hanno necessariamente modificato la loro due diligence
L’episodio di marzo, relativo alle forti turbolenze sui mercati obbligazionari in termini di liquidità, ha portato ad un allargamento degli spread per gli ETF e ad un aumento degli swing factor nei fondi indicizzati, ha inoltre determinato un incremento della due diligence anche sulle gestioni passive, sebbene in maniera meno marcata. Anna Paola Marchi di Credit Suisse ha infatti notato un maggiore scrutinio soprattutto per le valutazioni del rischio controparte degli ETF swap based e nel caso di strumenti che adottano il securities lending, per analizzare la distribuzione dei rendimenti tra fondi e investitori.
D’altro canto i fund buyer non hanno percepito questa netta differenza. “Si compie spesso l’errore di considerare lo strumento passivo qualcosa di semplice, ma non lo è”, dichiara Luca Vaiani, per questo l’aspetto due diligence è fondamentale per tutte le tipologie di prodotti. “Prima di investite in ETF vanno fatte una serie di analisi di tipo tecnico, soprattutto se questi vengono inseriti in portafoglio con un’ottica di lungo periodo”, aggiunge.
Luigi Sottile ha notato in queste settimane due trend: i clienti più sofisticati richiedevano un’attività più intensa di reportistica, in particolare family office e istituzionali. Ma al tempo stesso, internamente da Deutsche Bank, attraverso il team preposto alla due diligence, si è cercato di capire eventuali criticità legate ad alcuni strumenti.
Lorenzo Campori, ha veicolato le sue richieste soprattutto per i fondi attivi, dato che per i passivi veniva fatta un’accurata due diligence preventivamente, focalizzandosi sulla trasparenza di ciascun prodotto. Anche Giorgio Bensa, non ha agito in maniera straordinaria e non ha avuto particolari sorprese da gestire. Del resto, ritiene che lo stress di mercato subito non sia paragonabile a quello del 2008, grazie al tempestivo intervento delle Banche centrali.