Equita ha analizzato il processo di inclusione di tali fattori nelle strategie d’investimento dei principali asset manager che operano in Italia. La sostenibilità nella valutazione delle aziende è ancora lontana dall’essere universalmente adottata.
L’industria del risparmio gestito lo ha capito da tempo: la sostenibilità è necessaria (e piace, diciamolo). Che gli asset manager si stiano rimboccando le maniche per traghettare il settore verso la piena applicabilità dei criteri ESG affinché diventino la norma (e non l’eccezione) nelle pratiche d’investimento è innegabile. Ma non sempre le buone intenzioni si trasformano in azioni concrete o, comunque, questo non sta accadendo con la velocità che ci si aspetterebbe, data la centralità che occupano tali tematiche nel dibattito odierno che anima l’industria.
A confermarlo è un recente studio di Equita che ha tastato il polso alle strategie d’investimento dei principali asset manager operanti in Italia per comprendere fino a che punto i criteri di sostenibilità siano effettivamente adottati nei processi di valutazione delle aziende. L’indagine, condotta mediante questionario sottoposto a circa 30 gestori, ha restituito un quadro non del tutto confortante.
Principali evidenze
Tra i principali risultati è emerso che l’inclusione della sostenibilità nel processo di valutazione delle aziende è ancora distante dall’essere universalmente adottata: il 24% dei rispondenti, infatti, non tiene ancora in considerazione i parametri ESG nel processo di valutazione, mentre il 56% ne tiene conto sono marginalmente.
Solo il 20% delle realtà che hanno preso parte all’indagine hanno strutturato un team interno per effettuare un’attenta analisi dei parametri ESG sulle società oggetto di potenziale investimento e la maggior parte utilizza rating prodotti dalle agenzie di rating ESG (36%) o non utilizza una specifica metodologia di analisi (44%). Peraltro, la qualità dell’analisi ESG condotta dai provider viene per lo più valutata inadeguata o appena sufficiente dall’80% dei rispondenti.
Alcuni suggerimenti
Gli investitori, ha rivelato lo studio, apprezzerebbero la predisposizione di un set informativo sui temi ESG di tipo sintetico, standardizzato e facilmente consultabile da parte delle società valutate. Un’esigenza che si evince sia per le large che per le small cap, e che è sentita maggiormente per le società che sono già dotate di rating ESG (l’84% dei rispondenti lo ritengono abbastanza o molto utile) rispetto a quelle sprovviste di rating (76%). “Queste evidenze segnalano l’importanza di fornire agli investitori un set informativo rapidamente consultabile sia per sviluppare un rating ESG preliminare sia per corroborare le valutazioni ESG fornite da soggetti terzi”, spiega lo studio.
Un ulteriore dato riguarda la rilevanza percepita dagli investitori che è elevata per tutti e tre i fattori ESG, compresi gli aspetti sociali, più difficili da valorizzare, e che ricevono un grado di attenzione elevato e comparabile a quello relativo all’ambiente e alla governance. “Sulle tematiche sociali”, prosegue lo studio, “la criticità maggiore sembra essere la selezione dei parametri chiave più rilevanti, dal momento che quasi tutti quelli proposti (11 su 12) vengono ritenuti importanti da almeno il 20% degli investitori.
Sulle tematiche di governance, invece, gli investitori hanno una visione più uniforme di quali siano i parametri più importanti da monitorare, dato che solo alcune delle aree di analisi proposte (4 su 7) vengono indicate come significative da almeno il 20% dei rispondenti. Infine, sulla tematica ambientale, oltre ai parametri proposti, i rispondenti hanno indicato anche il carbon footprint e altre forme di misurazione degli impatti ambientali come parametri da monitorare attentamente”. L’ampia maggioranza degli investitori intervistati si è poi dichiarata favorevole alla definizione di linee guida ad-hoc per le piccole e medie imprese circa la rendicontazione ESG.