Esiste ancora il mito del long term?

Etienne Boulanger, Unsplash
Etienne Boulanger, Unsplash

Quando si parla di risparmio previdenziale e di pensioni, l’abbinamento con il concetto di lungo termine è quasi automatico. In effetti, un giovane che entra oggi nel mercato del lavoro, ha un orizzonte di vita attiva e di versamenti di almeno 40 anni.

Ma la società cambia a velocità un tempo impensabili. Una volta si entrava in un’azienda e nella maggior parte dei casi, in quell’azienda, banca, impresa, si restava per tutta la vita; quando succedeva diversamente, si cambiavano al massimo due posti di lavoro in oltre 40 anni di carriera. 

“Oggi i cambiamenti produttivi, la durata stessa delle aziende, le mutazioni nei bisogni o interessi dei lavoratori disegnano uno scenario diverso: si cambia spesso posto di lavoro e anche tipologia di impiego”, spiega Alberto Brambilla, presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. “In media, un iscritto alla previdenza di base cambia posto ogni 7 anni il che significa, se è iscritto anche a un fondo pensione complementare, riscattare la posizione, incassare una liquidità e trasferirla ad altro fondo nel caso si impieghi poi in un altro settore merceologico”.

Mario Padula, presidente COVIP spiega che il lungo periodo è la dimensione propria del fondo pensione perché risiede il capitale paziente. “In realtà gli aderenti ai sistemi previdenziali tendono a preferire comparti garantiti e investimenti di breve periodo”, spiega. “Bisogna cercare di fare un salto in avanti e superare certi retaggi. Il cliente dovrebbe ragionare su un’ottica d’investimento più lunga e assumersi quindi maggiore rischio in giovane età e ridurlo pian piano con l’avvicinarsi della pensione”.

Anche per Fabio Cappelloni, presidente Fondo Pensione BNL/BNP Paribas, ci dovrebbe essere un’inversione di tendenza. “In questo momento, se l’aderente fosse disposto a accettare un orizzonte temporale più lungo, gli strumenti di private market possono offrire rendimenti più allettanti”, spiega. 

Secondo Stefano Dall’Ara, presidente Previdenza Cooperativa, il mondo della previdenza complementare si è un po’ fermato negli ultimi anni ed è per questo che bisogna difenderlo: “La flessibilità nel mondo del lavoro sta cambiando l’accesso alle prestazioni e bisogna adeguare il sistema della previdenza complementare con le esigenze degli iscritti e con l’evoluzione del mercato”.

Nel corso dell’anno gli enti previdenziali hanno dovuto fare da ammortizzatore sociale: “Gli effetti di questa situazione sono ancora indeterminati”, spiega Stefano Distilli, presidente Cassa Dottori Commercialisti. “La nostra intenzione è di mantenere gli occhi puntati sulle asset class alternative senza perdere di vista l’orizzonte di lungo periodo”.

Secondo Anna Maria Selvaggio, direttore generale Fondo Fon.Te complice di tutto ciò sono state le carriere lavorative discontinue degli ultimi anni. “Questo ha portato ad un aumento dei riscatti e una maggiore difficoltà a gestire la liquidità di portafoglio”, conclude.